La Torre
passeggiata. Pantaloni della tuta e maglietta a maniche corte.
Una felpa legata in vita, non si sa mai. Cellulare dentro al marsupio e via.
Sento il viso umido, bagnato. Lo è tutto il corpo. Mi ritrovo sdraiato. E' buio.
Ma non come prima, vedo finalmente colori diversi. Gli alberi mi abbracciano come a volermi trasmettere quella gioia di vivere che avevo voluto abbandonare.
Una felpa legata in vita, non si sa mai. Cellulare dentro al marsupio e via.
Ok, sono pronto, finalmente riuscirò a visitare e salire su quella benedetta Torre.
Sono settimane che cerco di organizzarmi questa gita.
Immersa nel bosco, intorno solo alberi, mezz'ora di viaggio sulla statale e circa venti minuti di
strada sterrata per raggiungerla. Completamente nascosta dalla natura. Ne vale la pena.
La vidi qualche tempo fa, per la prima volta, in uno dei miei soliti week end nel bosco, ero in
campeggio. Dopo una lunghissima scarpinata, mi è apparsa all'improvviso, davanti, non ne avevo mai vista una così prima d'ora. Nessun cartello che indicasse un'eventuale proprietà privata, nessuna recinzione.
Non è nemmeno segnata sulle guide turistiche, è strano, troppo bella per essere ignorata.
Era già tardi, quasi buio, e decisi quindi di segnarmi il posto con il gps del telefonino.
Ci sarei ritornato.
Da quella volta è diventata come un pensiero fisso, un'ossessione da assecondare, dovevo
assolutamente esplorarla...
Parcheggio la macchina sotto gli alti alberi, all'ombra perché non voglio che si trasformi in un
forno. Circa un quarto d'ora a piedi verso nord e finalmente sono arrivato.
Da fuori si presenta alta e perentoria anche se non supera gli alberi circostanti, non ha una
grande circonferenza ma è ugualmente maestosa.
Ha un qualcosa di misterioso e gli abeti che la circondano le infondono una sorta di atmosfera inquietante. Quasi magica. E' affascinante e mi attrae quasi diabolicamente.
Devo assolutamente entrare.
L'erba incolta che la circonda cresce in un modo che mi incuriosisce, e che mi lascia perplesso.
Concentrica e dannatamente ordinata, precisa, tutt'intorno, come se volesse delimitarne l'area.
Come se volesse sottolineare l'importanza del luogo, infondendogli una sorta di sacralità. E' strano!
Il piccolo portoncino in legno è aperto, un invito ad entrare, e lo faccio.
Comincio a salire, trepidante ma attento ai particolari. Una vera opera d'arte. Adoro queste
strutture.
Pochi gradini e controllo l'orario sul telefonino, è presto. Riceve poco, lo infilo di nuovo nel
marsupio che porto a tracolla. Ho tutto il tempo che voglio e continuo...
Sto salendo, e secondo i miei calcoli dovrei aver già percorso metà della scalinata che mi separa dalla cima. Guardando in alto però non ne vedo ancora la fine.
Ringhiera di ferro, leggera e un pochino traballante. Sembra interamente fatta a mano.
Anche questa una vera opera d'arte. Delimita e accompagna un percorso circolare che si innalza come una spirale senza fine.
Le pareti sono fatte da vecchi piccoli mattoni rossi, intervallati ogni circa trenta gradini , da
finestrelle di forma rettangolare, posizionate ad un' altezza che però non permette di affacciarsi.
I piccoli e stretti vetri sporcati dalle intemperie mi separano dall'esterno, e impediscono un
naturale ricambio dell'aria, rendendo così questa Torre ancora più vecchia e stantia. Umida.
Anche i piccoli e stretti scalini sono costruiti con altri mattoni rossi, scuri e usurati, che si
confondono in un tutt'uno con le pareti antiche circostanti.
Alcuni si muovono e altri mancano proprio. In alcuni tratti è pericolosa. Devo stare attento.
E' particolarmente suggestiva e non vedo l'ora di arrivare in cima per godermi il tanto sudato e
sognato panorama. Ancora pochi minuti e l'avrò conquistata!
Dalle piccole e strette finestrelle riesco ad intravedere l'esterno, tutt'intorno solo alberi che
intervallano un cielo ancora acceso da un sole che mi dona un po' di luce, molto poca in realtà e sempre meno ad ogni gradino che salgo.
Mi fermo per riposare un pochino. Per tirare il fiato. Comincio ad essere stanco.
Mi riaffaccio dalla ringhiera, sporgendomi con attenzione, per guardare verso l'alto. Ma il buio
della cima mi proibisce di delimitare contorni che mi possano indicare qualcosa. E' tutto nero.
Continuo a salire...
Tiro fuori il telefono per controllare l'orario e subito noto che non riceve più. Segnale assente.
Sono completamente isolato. Ma ricomincio a salire...
Ancora tanti gradini, troppi in realtà, la Torre è alta, si, ma non così tanto poi...
Lo spazio è angusto e tetro ed è accompagnato dal riflesso di una luce che filtra da quelle
finestrelle, che infrangendosi su quei piccoli mattoni, vecchi e scuri, crea un'atmosfera surreale.
Unito a quell'odore di umidità che si respira sempre di più ad ogni gradino, comincio ad avere
una sensazione di ansia e di claustrofobia.
Fuori c'è il sole, o almeno c'era quando sono entrato questa mattina, ma ora non riesco più a
vederlo.
Ho camminato per molto, salendo ancora su questi fragili gradini, da quelle piccole e antiche finestre ora entra sempre meno luce, sono diventati lucernai che oramai non compiono più il loro
dovere.
E' una luce di colore grigio che sembra infrangersi sulla superficie dei vetri, e che appena prova ad entrare qua dentro svanisce subito, inglobata dal buio delle pareti.
I gradini bassi e percorribili normalmente con poca fatica, diventano ora sempre più alti.
Ad ogni passo mi sento più stanco. Le gambe mi pesano come se avessi già percorso l'intero tragitto, più volte. Mi sembra di non andare da nessuna parte.
Improvvisamente mi sento come un involontario prigioniero di una galera che invece ha potuto e
voluto scegliermi.
Mi siedo per riflettere ma non capisco. L'ansia mi assale e mi toglie il respiro. Non so cosa fare.
Tornare indietro o continuare?
Domande semplici con altrettante facili risposte. Ora però nulla mi sembra più così
dannatamente normale come invece dovrebbe.
Dopo tutta la fatica fatta fin'ora decido di continuare la mia salita che si trasforma però, passo
dopo passo, gradino dopo gradino, in una vera e propria arrampicata.
E' passato molto tempo da quando sono entrato questa mattina. Almeno così mi sembra,
controllo l'orario, di nuovo. E' spento. Completamente scarico, continuando a cercare un segnale che non c'è, da ormai troppo tempo, ha esaurito la sua carica. Ora è inutilizzabile.
Non riesco a capire, è ancora mattina o è già pomeriggio? Non può essere passato così tanto...
La mancanza di un riferimento temporale comincia a farmi impazzire. Mi infastidisce.
Non ho lasciato detto a nessuno dov'ero. Davanti ho tutto il week end, e prima di lunedì non avrei
dovuto vedere o incontrare nessuno. Non mi cercheranno prima di qualche giorno.
Ma chi dovrà cercarmi? Cosa sto dicendo? Perché parlo così?
Tra poco arriverò in cima. Ne sono sicuro. Ho solo bisogno di aria e questo maledetto girare e
rigirare su questa maledetta scala, mi sta facendo sparlare.
Aumento il passo, innervosito ed infastidito da una meta che ancora non arriva.
Salgo gradino dopo gradino, due alla volta, poi tre...
Continuo a girare attorno ad un vuoto delimitato da una fragile ringhiera di ferro, arrugginita, di
colore nero, ma che ancora non mi porta da nessuna parte.
Guardo in basso, è buio, come uno specchio che riflette lo stesso identico colore nero che in cima mi impedisce di vedere un'uscita.
Mi sento bloccato, intrappolato, come se fossi un puntino nello spazio e che fluttua avvolto in un
infinito scuro e senza una via d'uscita.
Rido, come un pazzo, digrigno i denti, mi passo le mani sui capelli, poi sulla faccia come a voler cancellare con un gesto qualcosa che non riesco più a capire. Niente, tutto come prima. Panico!
Decido di scendere, veloce, correndo aggrappato ad una ringhiera che non sembra possa
reggermi ancora per molto. Continuo a correre e improvvisamente inciampo, uno scalino rotto,
un mattone che non c'è. La salda presa mi salva, la ringhiera non si rompe.
Sono appeso con una mano, poi con entrambe, il vuoto sembra volermi inghiottire.
A fatica riesco a tirarmi su, scavalco con una gamba, poi con l'altra e mi lascio cadere, esausto,
sopra a quegli scalini di color rosso scuro. Ormai l'unico colore che si vede qua dentro.
Sono sdraiato in una scomoda posizione, ma non voglio farci caso. Sono stremato!
Dalle piccole aperture sul muro non entra più luce. Solo un leggero bagliore che immagino
prodotto da una luna che so non essere ancora completamente piena. E' già notte quindi...!?
Mi siedo. Mi serve un accendino. Ma non lo porto più con me. E' abbandonato sopra l'ultimo
pacchetto di sigarette che non ho più voluto fumare, a casa. Voglio più luce. Voglio vedere
meglio.
Provo ad arrampicarmi tirandomi su di peso aggrappato al bordo della piccola finestrella. Ci
arrivo per un pelo, con i polpastrelli delle dita. Voglio vedere fuori, e guardare in basso. Voglio un
punto di riferimento. Cerco qualcosa fuori, che mi dia la sensazione di essere ancora su questo pianeta, ma le braccia mi cedono. Mollo la presa e mi lascio strisciare sulla parete. Mi graffio il volto.
Ci riprovo cercando un punto d'appoggio con i piedi e con la punta della scarpa riesco ad
aiutarmi. Guardo fuori e provo ad identificare un qualcosa che mi faccia capire a che altezza mi
trovo. Ci riesco, ho scelto un albero. Un grosso abete tra i tanti.
Compio quello che credo siano una decina di giri intorno alla torre. Di corsa.
Mi arrampico di nuovo e guardo fuori. Ma non capisco. I punti cardinali ed il mio senso
dell'orientamento sono andati a farsi fottere da un pezzo assieme all'albero che avevo
inutilmente cercato come riferimento. Fatica sprecata.
Gli occhi ormai non riescono più a riconoscere la differenza tra il giorno e la notte e le ore
sembrano passare tutte malinconicamente uguali.
Il soffitto della rampa di scale che mi sovrasta mi schiaccia in una trappola infernale, come un
percorso studiato per quei topi da laboratorio usati come cavie. E' proprio così che comincio a
sentirmi. Sono un topo in una gabbia.
Guardandomi attorno non vedo altro che quei maledetti mattoni, pareti che improvvisamente
mi danno la sensazione di muoversi, mi vengono incontro come se volessero schiacciarmi ed inglobarmi al loro interno. Mi gira la testa, sto male e l'ansia mi uccide dentro.
Mi siedo, appoggio la schiena contro il muro e senza nemmeno accorgermene mi addormento.
Quasi svenuto, privo di sensi. Intorpidito da emozioni che non avevo mai conosciuto.
Al mio risveglio ho solo una speranza, quella di aver fatto solo un maledetto sogno.
Sono settimane che cerco di organizzarmi questa gita.
Immersa nel bosco, intorno solo alberi, mezz'ora di viaggio sulla statale e circa venti minuti di
strada sterrata per raggiungerla. Completamente nascosta dalla natura. Ne vale la pena.
La vidi qualche tempo fa, per la prima volta, in uno dei miei soliti week end nel bosco, ero in
campeggio. Dopo una lunghissima scarpinata, mi è apparsa all'improvviso, davanti, non ne avevo mai vista una così prima d'ora. Nessun cartello che indicasse un'eventuale proprietà privata, nessuna recinzione.
Non è nemmeno segnata sulle guide turistiche, è strano, troppo bella per essere ignorata.
Era già tardi, quasi buio, e decisi quindi di segnarmi il posto con il gps del telefonino.
Ci sarei ritornato.
Da quella volta è diventata come un pensiero fisso, un'ossessione da assecondare, dovevo
assolutamente esplorarla...
Parcheggio la macchina sotto gli alti alberi, all'ombra perché non voglio che si trasformi in un
forno. Circa un quarto d'ora a piedi verso nord e finalmente sono arrivato.
Da fuori si presenta alta e perentoria anche se non supera gli alberi circostanti, non ha una
grande circonferenza ma è ugualmente maestosa.
Ha un qualcosa di misterioso e gli abeti che la circondano le infondono una sorta di atmosfera inquietante. Quasi magica. E' affascinante e mi attrae quasi diabolicamente.
Devo assolutamente entrare.
L'erba incolta che la circonda cresce in un modo che mi incuriosisce, e che mi lascia perplesso.
Concentrica e dannatamente ordinata, precisa, tutt'intorno, come se volesse delimitarne l'area.
Come se volesse sottolineare l'importanza del luogo, infondendogli una sorta di sacralità. E' strano!
Il piccolo portoncino in legno è aperto, un invito ad entrare, e lo faccio.
Comincio a salire, trepidante ma attento ai particolari. Una vera opera d'arte. Adoro queste
strutture.
Pochi gradini e controllo l'orario sul telefonino, è presto. Riceve poco, lo infilo di nuovo nel
marsupio che porto a tracolla. Ho tutto il tempo che voglio e continuo...
Sto salendo, e secondo i miei calcoli dovrei aver già percorso metà della scalinata che mi separa dalla cima. Guardando in alto però non ne vedo ancora la fine.
Ringhiera di ferro, leggera e un pochino traballante. Sembra interamente fatta a mano.
Anche questa una vera opera d'arte. Delimita e accompagna un percorso circolare che si innalza come una spirale senza fine.
Le pareti sono fatte da vecchi piccoli mattoni rossi, intervallati ogni circa trenta gradini , da
finestrelle di forma rettangolare, posizionate ad un' altezza che però non permette di affacciarsi.
I piccoli e stretti vetri sporcati dalle intemperie mi separano dall'esterno, e impediscono un
naturale ricambio dell'aria, rendendo così questa Torre ancora più vecchia e stantia. Umida.
Anche i piccoli e stretti scalini sono costruiti con altri mattoni rossi, scuri e usurati, che si
confondono in un tutt'uno con le pareti antiche circostanti.
Alcuni si muovono e altri mancano proprio. In alcuni tratti è pericolosa. Devo stare attento.
E' particolarmente suggestiva e non vedo l'ora di arrivare in cima per godermi il tanto sudato e
sognato panorama. Ancora pochi minuti e l'avrò conquistata!
Dalle piccole e strette finestrelle riesco ad intravedere l'esterno, tutt'intorno solo alberi che
intervallano un cielo ancora acceso da un sole che mi dona un po' di luce, molto poca in realtà e sempre meno ad ogni gradino che salgo.
Mi fermo per riposare un pochino. Per tirare il fiato. Comincio ad essere stanco.
Mi riaffaccio dalla ringhiera, sporgendomi con attenzione, per guardare verso l'alto. Ma il buio
della cima mi proibisce di delimitare contorni che mi possano indicare qualcosa. E' tutto nero.
Continuo a salire...
Tiro fuori il telefono per controllare l'orario e subito noto che non riceve più. Segnale assente.
Sono completamente isolato. Ma ricomincio a salire...
Ancora tanti gradini, troppi in realtà, la Torre è alta, si, ma non così tanto poi...
Lo spazio è angusto e tetro ed è accompagnato dal riflesso di una luce che filtra da quelle
finestrelle, che infrangendosi su quei piccoli mattoni, vecchi e scuri, crea un'atmosfera surreale.
Unito a quell'odore di umidità che si respira sempre di più ad ogni gradino, comincio ad avere
una sensazione di ansia e di claustrofobia.
Fuori c'è il sole, o almeno c'era quando sono entrato questa mattina, ma ora non riesco più a
vederlo.
Ho camminato per molto, salendo ancora su questi fragili gradini, da quelle piccole e antiche finestre ora entra sempre meno luce, sono diventati lucernai che oramai non compiono più il loro
dovere.
E' una luce di colore grigio che sembra infrangersi sulla superficie dei vetri, e che appena prova ad entrare qua dentro svanisce subito, inglobata dal buio delle pareti.
I gradini bassi e percorribili normalmente con poca fatica, diventano ora sempre più alti.
Ad ogni passo mi sento più stanco. Le gambe mi pesano come se avessi già percorso l'intero tragitto, più volte. Mi sembra di non andare da nessuna parte.
Improvvisamente mi sento come un involontario prigioniero di una galera che invece ha potuto e
voluto scegliermi.
Mi siedo per riflettere ma non capisco. L'ansia mi assale e mi toglie il respiro. Non so cosa fare.
Tornare indietro o continuare?
Domande semplici con altrettante facili risposte. Ora però nulla mi sembra più così
dannatamente normale come invece dovrebbe.
Dopo tutta la fatica fatta fin'ora decido di continuare la mia salita che si trasforma però, passo
dopo passo, gradino dopo gradino, in una vera e propria arrampicata.
E' passato molto tempo da quando sono entrato questa mattina. Almeno così mi sembra,
controllo l'orario, di nuovo. E' spento. Completamente scarico, continuando a cercare un segnale che non c'è, da ormai troppo tempo, ha esaurito la sua carica. Ora è inutilizzabile.
Non riesco a capire, è ancora mattina o è già pomeriggio? Non può essere passato così tanto...
La mancanza di un riferimento temporale comincia a farmi impazzire. Mi infastidisce.
Non ho lasciato detto a nessuno dov'ero. Davanti ho tutto il week end, e prima di lunedì non avrei
dovuto vedere o incontrare nessuno. Non mi cercheranno prima di qualche giorno.
Ma chi dovrà cercarmi? Cosa sto dicendo? Perché parlo così?
Tra poco arriverò in cima. Ne sono sicuro. Ho solo bisogno di aria e questo maledetto girare e
rigirare su questa maledetta scala, mi sta facendo sparlare.
Aumento il passo, innervosito ed infastidito da una meta che ancora non arriva.
Salgo gradino dopo gradino, due alla volta, poi tre...
Continuo a girare attorno ad un vuoto delimitato da una fragile ringhiera di ferro, arrugginita, di
colore nero, ma che ancora non mi porta da nessuna parte.
Guardo in basso, è buio, come uno specchio che riflette lo stesso identico colore nero che in cima mi impedisce di vedere un'uscita.
Mi sento bloccato, intrappolato, come se fossi un puntino nello spazio e che fluttua avvolto in un
infinito scuro e senza una via d'uscita.
Rido, come un pazzo, digrigno i denti, mi passo le mani sui capelli, poi sulla faccia come a voler cancellare con un gesto qualcosa che non riesco più a capire. Niente, tutto come prima. Panico!
Decido di scendere, veloce, correndo aggrappato ad una ringhiera che non sembra possa
reggermi ancora per molto. Continuo a correre e improvvisamente inciampo, uno scalino rotto,
un mattone che non c'è. La salda presa mi salva, la ringhiera non si rompe.
Sono appeso con una mano, poi con entrambe, il vuoto sembra volermi inghiottire.
A fatica riesco a tirarmi su, scavalco con una gamba, poi con l'altra e mi lascio cadere, esausto,
sopra a quegli scalini di color rosso scuro. Ormai l'unico colore che si vede qua dentro.
Sono sdraiato in una scomoda posizione, ma non voglio farci caso. Sono stremato!
Dalle piccole aperture sul muro non entra più luce. Solo un leggero bagliore che immagino
prodotto da una luna che so non essere ancora completamente piena. E' già notte quindi...!?
Mi siedo. Mi serve un accendino. Ma non lo porto più con me. E' abbandonato sopra l'ultimo
pacchetto di sigarette che non ho più voluto fumare, a casa. Voglio più luce. Voglio vedere
meglio.
Provo ad arrampicarmi tirandomi su di peso aggrappato al bordo della piccola finestrella. Ci
arrivo per un pelo, con i polpastrelli delle dita. Voglio vedere fuori, e guardare in basso. Voglio un
punto di riferimento. Cerco qualcosa fuori, che mi dia la sensazione di essere ancora su questo pianeta, ma le braccia mi cedono. Mollo la presa e mi lascio strisciare sulla parete. Mi graffio il volto.
Ci riprovo cercando un punto d'appoggio con i piedi e con la punta della scarpa riesco ad
aiutarmi. Guardo fuori e provo ad identificare un qualcosa che mi faccia capire a che altezza mi
trovo. Ci riesco, ho scelto un albero. Un grosso abete tra i tanti.
Compio quello che credo siano una decina di giri intorno alla torre. Di corsa.
Mi arrampico di nuovo e guardo fuori. Ma non capisco. I punti cardinali ed il mio senso
dell'orientamento sono andati a farsi fottere da un pezzo assieme all'albero che avevo
inutilmente cercato come riferimento. Fatica sprecata.
Gli occhi ormai non riescono più a riconoscere la differenza tra il giorno e la notte e le ore
sembrano passare tutte malinconicamente uguali.
Il soffitto della rampa di scale che mi sovrasta mi schiaccia in una trappola infernale, come un
percorso studiato per quei topi da laboratorio usati come cavie. E' proprio così che comincio a
sentirmi. Sono un topo in una gabbia.
Guardandomi attorno non vedo altro che quei maledetti mattoni, pareti che improvvisamente
mi danno la sensazione di muoversi, mi vengono incontro come se volessero schiacciarmi ed inglobarmi al loro interno. Mi gira la testa, sto male e l'ansia mi uccide dentro.
Mi siedo, appoggio la schiena contro il muro e senza nemmeno accorgermene mi addormento.
Quasi svenuto, privo di sensi. Intorpidito da emozioni che non avevo mai conosciuto.
Al mio risveglio ho solo una speranza, quella di aver fatto solo un maledetto sogno.
Invece No.
Raccapricciante realtà, sono ancora dentro ad un incubo che non vuole finire. Che non vuole
lasciarmi più andare via.
Devo riflettere e soprattutto devo fare qualcosa, non posso continuare a farmi sopraffare dalla paura.
Cerco nel marsupio, ho le chiavi di casa, portone esterno e appartamento, quelle dell'auto e il telefonino. Devo sacrificare qualcosa. Scelgo la chiave del portone esterno del mio condominio.
Potrò sempre suonare ad un vicino quando tornerò finalmente a casa. La speranza non mi
abbandona. Per ora.
Lo lascio cadere nel buio, una tromba delle scale che sembra inglobarla in un nero che non
consente di vedere niente.
Non sento nulla, nessun rumore prodotto da quella piccola chiave. Forse troppo piccola.
Provo con la chiave del portone blindato di casa. E' più grande e più pesante. Ma anche questa
volta non sento nulla. Impossibile!
Ho sicuramente coperto il rumore con il mio ansimante respiro.
Provo quindi a calmarmi e decido di sacrificare anche la chiave dell'auto. Ancora un
dannatissimo niente. Cazzo, cazzo, cazzo....... E ora.....?
Il telefono no, lo voglio ancora tenere, spero che mi consenta di effettuare un' ultima chiamata ,
più tardi, quando arriverò finalmente in cima.
Continuo a salire, salire, e a salire, gradino dopo gradino, strisciando un piede davanti a
quell'altro, inciampando nei vecchi gradini, continuando con una ormai insensata convinzione che ancora non mi abbandona, sulle ginocchia, ora sto strisciando. Sto piangendo, silenziosamente,
stanco e vuoto dentro. Ma sto continuando a salire.
Un rumore improvviso, un battito di ali. Vedo l'ombra di un uccellino che si posa su una di quelle stupide finestrelle, all'esterno. Urlo forte, fortissimo. Non si muove, come se non mi avesse sentito, come se fossi completamente isolato dall'esterno. Rimane ancora qualche istante poi
vola via. Rimango a fissare quel punto per molto, mi illudo che possa tornare, l'unica compagnia
da ore.
Quelle assurde fessure, che continuo a chiamare ancora e ironicamente finestre, potrebbero diventare la mia ultima speranza. Voglio provare, devo controllarle tutte, una ad una. Ne devo
trovare una rotta, voglio gridare, fuori e più forte che posso.
Comincio ad arrampicarmi verso di loro, ogni trenta gradini una finestra, le mani mi sanguinano,
le ginocchia che sfregano sulla parete mi fanno male, le unghie si spezzano.
Quelle dannate finestre sono davvero tutte uguali e i vetri tutti incredibilmente integri.
All'improvviso un atroce dubbio. Stupido ed insensato, ma ci penso ugualmente.
E se tutte quelle dannate fessure fossero in realtà sempre la stessa, l'unica che continua a
tormentarmi, prendendomi per i fondelli da ore nel mio forsennato girare intorno?
Come in una sorta di interruzione spazio temporale che mi riporta continuamente al solito punto di partenza?
Raccapricciante realtà, sono ancora dentro ad un incubo che non vuole finire. Che non vuole
lasciarmi più andare via.
Devo riflettere e soprattutto devo fare qualcosa, non posso continuare a farmi sopraffare dalla paura.
Cerco nel marsupio, ho le chiavi di casa, portone esterno e appartamento, quelle dell'auto e il telefonino. Devo sacrificare qualcosa. Scelgo la chiave del portone esterno del mio condominio.
Potrò sempre suonare ad un vicino quando tornerò finalmente a casa. La speranza non mi
abbandona. Per ora.
Lo lascio cadere nel buio, una tromba delle scale che sembra inglobarla in un nero che non
consente di vedere niente.
Non sento nulla, nessun rumore prodotto da quella piccola chiave. Forse troppo piccola.
Provo con la chiave del portone blindato di casa. E' più grande e più pesante. Ma anche questa
volta non sento nulla. Impossibile!
Ho sicuramente coperto il rumore con il mio ansimante respiro.
Provo quindi a calmarmi e decido di sacrificare anche la chiave dell'auto. Ancora un
dannatissimo niente. Cazzo, cazzo, cazzo....... E ora.....?
Il telefono no, lo voglio ancora tenere, spero che mi consenta di effettuare un' ultima chiamata ,
più tardi, quando arriverò finalmente in cima.
Continuo a salire, salire, e a salire, gradino dopo gradino, strisciando un piede davanti a
quell'altro, inciampando nei vecchi gradini, continuando con una ormai insensata convinzione che ancora non mi abbandona, sulle ginocchia, ora sto strisciando. Sto piangendo, silenziosamente,
stanco e vuoto dentro. Ma sto continuando a salire.
Un rumore improvviso, un battito di ali. Vedo l'ombra di un uccellino che si posa su una di quelle stupide finestrelle, all'esterno. Urlo forte, fortissimo. Non si muove, come se non mi avesse sentito, come se fossi completamente isolato dall'esterno. Rimane ancora qualche istante poi
vola via. Rimango a fissare quel punto per molto, mi illudo che possa tornare, l'unica compagnia
da ore.
Quelle assurde fessure, che continuo a chiamare ancora e ironicamente finestre, potrebbero diventare la mia ultima speranza. Voglio provare, devo controllarle tutte, una ad una. Ne devo
trovare una rotta, voglio gridare, fuori e più forte che posso.
Comincio ad arrampicarmi verso di loro, ogni trenta gradini una finestra, le mani mi sanguinano,
le ginocchia che sfregano sulla parete mi fanno male, le unghie si spezzano.
Quelle dannate finestre sono davvero tutte uguali e i vetri tutti incredibilmente integri.
All'improvviso un atroce dubbio. Stupido ed insensato, ma ci penso ugualmente.
E se tutte quelle dannate fessure fossero in realtà sempre la stessa, l'unica che continua a
tormentarmi, prendendomi per i fondelli da ore nel mio forsennato girare intorno?
Come in una sorta di interruzione spazio temporale che mi riporta continuamente al solito punto di partenza?
Sto delirando anzi sto farneticando.
Non può essere così.
Ne sono sicuro?!
Ci riprovo...
Ora tocca al telefonino, devo sacrificarlo per forza. Mi arrampico per l'ennesima volta, devo arrivare più in alto. Comincio così a sbattere il cellulare sul vetro, ma non ci arrivo come vorrei, e
non riesco ad imprimergli contro la forza necessaria per romperlo. Cado e sbatto la schiena. Il
cellulare scompare nel buio.
Non ce la faccio. Sono a pezzi, distrutto fisicamente ma soprattutto moralmente.
Ora tocca al telefonino, devo sacrificarlo per forza. Mi arrampico per l'ennesima volta, devo arrivare più in alto. Comincio così a sbattere il cellulare sul vetro, ma non ci arrivo come vorrei, e
non riesco ad imprimergli contro la forza necessaria per romperlo. Cado e sbatto la schiena. Il
cellulare scompare nel buio.
Non ce la faccio. Sono a pezzi, distrutto fisicamente ma soprattutto moralmente.
Mi lascio riaddormentare così, in quella scomoda e dolorosa posizione.
Non mi importa.
Al mio insensato e traumatico risveglio mi ritrovo raggomitolato sul fianco, ginocchia e mani al
petto, come un bambino appena nato che cerca conforto in una posizione non ancora scordata,
sono impaurito e ho deciso di non continuare, non voglio più salire ne scendere, nessuno altro
stupido gradino.
Al mio insensato e traumatico risveglio mi ritrovo raggomitolato sul fianco, ginocchia e mani al
petto, come un bambino appena nato che cerca conforto in una posizione non ancora scordata,
sono impaurito e ho deciso di non continuare, non voglio più salire ne scendere, nessuno altro
stupido gradino.
Non ha più senso. Ormai...
Ho freddo, decido di slacciarmi la felpa ancora legata come una cintura e me la infilo.
Stacco il marsupio e proprio mentre sto per agganciarmelo alla cinta, mi viene un'idea.
Ho freddo, decido di slacciarmi la felpa ancora legata come una cintura e me la infilo.
Stacco il marsupio e proprio mentre sto per agganciarmelo alla cinta, mi viene un'idea.
Devoassolutamente provare, non ho più nulla da perdere.
Un velo di speranza torna a farsi vivo.
Lo lego alla ringhiera e ricomincio.
Lo lego alla ringhiera e ricomincio.
Compio un giro, un altro ed un altro ancora, verso l'alto.
Non lo ritrovo. Segno che non mi sto muovendo inutilmente, e non sto tornando sempre allo
stesso punto di partenza. Arriverò da qualche parte prima o poi, per forza.
Non lo ritrovo. Segno che non mi sto muovendo inutilmente, e non sto tornando sempre allo
stesso punto di partenza. Arriverò da qualche parte prima o poi, per forza.
Un barlume di euforica pazzia ricomincia a sfiorarmi la mente dandomi quel pelo di forza che mi consente di riprovare a percorrere altri gradini.
Cammino da parecchi minuti, altri e dannati.
Voglio credere, auto convincendomi che tra qualche istante vedrò finalmente la fine di questa infinita e vecchia
gradinata.
gradinata.
Voglio vedere la porta che presto aprirò affacciandomi su un cielo stellato.
Ma ancora niente.
Mi ritolgo la felpa, ho percorso tanti nuovi gradini che mi hanno fatto venire caldo.
E mentre me la rilego alla vita, girandomi indietro, i miei occhi non vogliono più credere a quello
che ora stanno guardando...
Il marsupio è di nuovo li.
che ora stanno guardando...
Il marsupio è di nuovo li.
Legato nello stesso identico modo in cui lo avevo agganciato ormai parecchi minuti fa...
Lo fisso, non ci credo e non voglio farlo. Una cosa del genere non può accadere. E' fisicamente
impossibile.
Sono stato ingoiato da questa malvagia e diabolica Torre. Mi sento un'indifesa vittima di una
sorta di maleficio.
Di chi? O cosa? Ma Perché? Perchè proprio io?
Lo fisso, non ci credo e non voglio farlo. Una cosa del genere non può accadere. E' fisicamente
impossibile.
Sono stato ingoiato da questa malvagia e diabolica Torre. Mi sento un'indifesa vittima di una
sorta di maleficio.
Di chi? O cosa? Ma Perché? Perchè proprio io?
Non so rispondermi.
Mi sto arrendendo. Non so cos'altro fare. Proseguire non serve più a niente, tanto meno provare a ridiscendere verso la base.
Solo una maniera, veloce e tremenda. Il vuoto. Un salto e tutto finisce. Ma non ho il coraggio enon posso farlo. Non so come e se ne vale la pena ma devo rimanere vivo, ancora.
Con la fibbia di plastica dura di quel fantomatico marsupio diabolicamente riapparso, provo a scavare tra un mattone e l'altro. Ne sto delimitando uno per provare a toglierlo. Scavo per un po' e ci riesco. Lo sfilo e dietro ovviamente ce n'è un altro. Piano piano e con forza scalzo anche quelli vicini. Ora riesco ad arrivare alla fila successiva e ricomincio a scavare. Sono più duri, ma riesco a toglierne uno. Provo come prima a crearmi più spazio e tolgo anche quelli circostanti.
La fibbia si rompe. Ma non mi importa.
Mi sto arrendendo. Non so cos'altro fare. Proseguire non serve più a niente, tanto meno provare a ridiscendere verso la base.
Solo una maniera, veloce e tremenda. Il vuoto. Un salto e tutto finisce. Ma non ho il coraggio enon posso farlo. Non so come e se ne vale la pena ma devo rimanere vivo, ancora.
Con la fibbia di plastica dura di quel fantomatico marsupio diabolicamente riapparso, provo a scavare tra un mattone e l'altro. Ne sto delimitando uno per provare a toglierlo. Scavo per un po' e ci riesco. Lo sfilo e dietro ovviamente ce n'è un altro. Piano piano e con forza scalzo anche quelli vicini. Ora riesco ad arrivare alla fila successiva e ricomincio a scavare. Sono più duri, ma riesco a toglierne uno. Provo come prima a crearmi più spazio e tolgo anche quelli circostanti.
La fibbia si rompe. Ma non mi importa.
Per quello che voglio fare mi basta anche un piccolo
pezzo.
Arrivo alla terza fila e ricomincio tutto da capo. Ripeto questo ossessionato gesto per quattro,
cinque, sei poi sette volte. Solo mattoni e nient'altro che dannati mattoni.
Non vado da nessuna parte. Ormai è rimasto ben poco di quella stupida fibbia di plastica.
Svanita anche questa ultima speranza. Sono di nuovo bloccato. Qua dentro.
Ora si fa più reale quel pensiero di morte che avevo voluto abbandonare prima. Ne ho
fottutamente paura. E non ne ho la forza. Mi manca il coraggio.
E mentre penso che non avrei mai potuto farcela, mi ritrovo in piedi sulla ringhiera, con una mano appoggiata alla parete mantengo l'equilibrio, ancora per poco, e in un interminabile attimo...
...mi lascio cadere...
Urlo aspettando il forte impatto con il suolo. Un urlo disperato e senza fine, tremendo...
pezzo.
Arrivo alla terza fila e ricomincio tutto da capo. Ripeto questo ossessionato gesto per quattro,
cinque, sei poi sette volte. Solo mattoni e nient'altro che dannati mattoni.
Non vado da nessuna parte. Ormai è rimasto ben poco di quella stupida fibbia di plastica.
Svanita anche questa ultima speranza. Sono di nuovo bloccato. Qua dentro.
Ora si fa più reale quel pensiero di morte che avevo voluto abbandonare prima. Ne ho
fottutamente paura. E non ne ho la forza. Mi manca il coraggio.
E mentre penso che non avrei mai potuto farcela, mi ritrovo in piedi sulla ringhiera, con una mano appoggiata alla parete mantengo l'equilibrio, ancora per poco, e in un interminabile attimo...
...mi lascio cadere...
Urlo aspettando il forte impatto con il suolo. Un urlo disperato e senza fine, tremendo...
Sono completamente avvolto da un colore nero che non mi permette di vedere più nulla e che mi toglie il fiato. Non respiro. Mi sento soffocare. Continuo a cadere,
perdo i sensi...
Sento il viso umido, bagnato. Lo è tutto il corpo. Mi ritrovo sdraiato. E' buio.
Ma non come prima, vedo finalmente colori diversi. Gli alberi mi abbracciano come a volermi trasmettere quella gioia di vivere che avevo voluto abbandonare.
Il cielo è scuro, ma le nuvole
che continuano a rovesciare una leggera pioggerellina, non lo coprono del tutto e riesco ad
intravedere la luna. E' spettacolare. Respiro finalmente aria pulita. E' notte.
Mi siedo per cercare di capire dove diavolo sono finito. Di fronte a me, la Torre. E quella
maledetta porticina di legno è ancora aperta, come se volesse nuovamente invitarmi ad entrare.
Non capisco.
Sono svenuto qua fuori..? Uno improvviso calo di zuccheri..? Un colpo di sole..? Ho sognato
tutto..? Sono rimasto sdraiato qua fuori fino ad ora..? Non sono mai entrato...?
Un milione di domande a cui però non so dare risposta mi martellano la mente. La razionalità sta lottando contro una realtà deforme che credo ancora di essere stato costretto a vivere.
Fatico per un attimo a comprendere ancora quale sia la giusta verità.
Mi alzo per cercare il cellulare e controllare per quanto tempo sono rimasto li, sdraiato per terra.
Non lo trovo. Sparito, insieme alle chiavi della macchina e a quelle di casa...
In mano ho solo un piccolo oggetto che non riesco a riconoscere. Non subito almeno.
Lo avvicino al mio attento sguardo e lo studio. E' un pezzo di plastica nero, piccolo e consumato.
E' sporco di un colore rosso scuro, lo stesso dei mattoni di quella dannata Torre.
Alzo di nuovo lo sguardo e riosservo la piccola porta di legno, ancora leggermente aperta.
Non so più cosa pensare. Ma questa volta rifiuto l'invito che la Torre sembra volermi rifare, e
nell'incertezza mi volto verso il bosco, buio e profondo, e decido di allontanarmi da li.
Veloce, a piedi, e ancora fottutamente vivo...
che continuano a rovesciare una leggera pioggerellina, non lo coprono del tutto e riesco ad
intravedere la luna. E' spettacolare. Respiro finalmente aria pulita. E' notte.
Mi siedo per cercare di capire dove diavolo sono finito. Di fronte a me, la Torre. E quella
maledetta porticina di legno è ancora aperta, come se volesse nuovamente invitarmi ad entrare.
Non capisco.
Sono svenuto qua fuori..? Uno improvviso calo di zuccheri..? Un colpo di sole..? Ho sognato
tutto..? Sono rimasto sdraiato qua fuori fino ad ora..? Non sono mai entrato...?
Un milione di domande a cui però non so dare risposta mi martellano la mente. La razionalità sta lottando contro una realtà deforme che credo ancora di essere stato costretto a vivere.
Fatico per un attimo a comprendere ancora quale sia la giusta verità.
Mi alzo per cercare il cellulare e controllare per quanto tempo sono rimasto li, sdraiato per terra.
Non lo trovo. Sparito, insieme alle chiavi della macchina e a quelle di casa...
In mano ho solo un piccolo oggetto che non riesco a riconoscere. Non subito almeno.
Lo avvicino al mio attento sguardo e lo studio. E' un pezzo di plastica nero, piccolo e consumato.
E' sporco di un colore rosso scuro, lo stesso dei mattoni di quella dannata Torre.
Alzo di nuovo lo sguardo e riosservo la piccola porta di legno, ancora leggermente aperta.
Non so più cosa pensare. Ma questa volta rifiuto l'invito che la Torre sembra volermi rifare, e
nell'incertezza mi volto verso il bosco, buio e profondo, e decido di allontanarmi da li.
Veloce, a piedi, e ancora fottutamente vivo...
[Christian B.]
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