Viaggio all'interno del proprio Dio
Inconsapevolmente consci di possedere quella divina scintilla vitale che alimenta la nostra
anima, viviamo come anestetizzati da un ego che ci trascina in un mondo che ci domina.
Imprigionati in noi stessi, non percepiamo la necessità di una libertà che non è quella che ci viene propinata, proprio da coloro che, come noi, sono vittime dei loro stessi scheletri nascosti.
Alla ricerca di una felicità effimera e fuggevole continuiamo a correre e rincorrere un qualcosa
che silenziosamente, la nostra coscienza, ci indica come inutile.
Incapaci di ascoltare, ormai frastornati dal rumore di sottofondo in noi stessi, non riusciamo più
a sentire ciò che il nostro "vero io" continua a gridare dal nostro profondo.
Sordi agli echi della nostra innata conoscenza, creiamo un mondo irreale, ma che nella sua
completa irrazionalità e finzione, diventa dannatamente e dolorosamente pragmatico e terreno.
Con i nostri piedi, ben ancorati al suolo, non riusciamo più ad elevare il nostro sguardo oltre a
quell'orizzonte che in piena autonomia abbiamo deciso di guardare.
E così fissiamo il nostro sguardo, intestardendoci e incaponendoci, là dove il nostro orgoglio vuole che guardiamo.
Creando così una realtà che ci sembra vera e tangibile, ma che è invero, solo il frutto di ciò che
crediamo di volere.
Vivendo come esseri immortali, ci scordiamo invece di essere fatti di carne, e così facendo
entriamo in una sorta di diabolico loop infinito, che ci spinge, con drammatica frenesia, ad un falso bisogno di appagamento irrazionale.
Alla continua ricerca di un benessere che non riusciamo a trovare, non ci accorgiamo che quello di cui abbiamo bisogno, non si trova là fuori, e che il nostro non falso senso di immortalità, non è nella carne.
Ormai annoiati, troviamo un finto e parziale conforto, in una moltitudine di attività, oggetti e
passioni, che non possono non essere definiti, con il loro giusto termine di "idoli".
Ci inchiniamo a loro, ci prostriamo e li veneriamo, credendo e sperando possano dare quella pienezza a quel vuoto che ci siamo autonomamente creati, quando abbiamo deciso di non voler
nè vedere e nè ascoltare, più.
Trasformandoci così, pienamente consapevoli, nei costruttori di quelle sbarre che ci incarcerano in una prigione, dove incredibilmente, noi stessi, ne diventiamo addirittura le guardie.
Intransigenti verso noi stessi, disciplinati come soldati, nella nostra diabolica coerenza,
obbediamo a ordini che ci auto infliggiamo, per nascondere in realtà, quella moltitudine di
insuccessi interiori che ci portano ad obbedire senza coscienza.
Che questa prigione sia auto inflitta oppure imposta da altri, poco importa, noi abbiamo deciso di adeguarci, abbiamo cercato e trovato quella zona di confort che ci fa sentire falsamente protetti;
anima, viviamo come anestetizzati da un ego che ci trascina in un mondo che ci domina.
Imprigionati in noi stessi, non percepiamo la necessità di una libertà che non è quella che ci viene propinata, proprio da coloro che, come noi, sono vittime dei loro stessi scheletri nascosti.
Alla ricerca di una felicità effimera e fuggevole continuiamo a correre e rincorrere un qualcosa
che silenziosamente, la nostra coscienza, ci indica come inutile.
Incapaci di ascoltare, ormai frastornati dal rumore di sottofondo in noi stessi, non riusciamo più
a sentire ciò che il nostro "vero io" continua a gridare dal nostro profondo.
Sordi agli echi della nostra innata conoscenza, creiamo un mondo irreale, ma che nella sua
completa irrazionalità e finzione, diventa dannatamente e dolorosamente pragmatico e terreno.
Con i nostri piedi, ben ancorati al suolo, non riusciamo più ad elevare il nostro sguardo oltre a
quell'orizzonte che in piena autonomia abbiamo deciso di guardare.
E così fissiamo il nostro sguardo, intestardendoci e incaponendoci, là dove il nostro orgoglio vuole che guardiamo.
Creando così una realtà che ci sembra vera e tangibile, ma che è invero, solo il frutto di ciò che
crediamo di volere.
Vivendo come esseri immortali, ci scordiamo invece di essere fatti di carne, e così facendo
entriamo in una sorta di diabolico loop infinito, che ci spinge, con drammatica frenesia, ad un falso bisogno di appagamento irrazionale.
Alla continua ricerca di un benessere che non riusciamo a trovare, non ci accorgiamo che quello di cui abbiamo bisogno, non si trova là fuori, e che il nostro non falso senso di immortalità, non è nella carne.
Ormai annoiati, troviamo un finto e parziale conforto, in una moltitudine di attività, oggetti e
passioni, che non possono non essere definiti, con il loro giusto termine di "idoli".
Ci inchiniamo a loro, ci prostriamo e li veneriamo, credendo e sperando possano dare quella pienezza a quel vuoto che ci siamo autonomamente creati, quando abbiamo deciso di non voler
nè vedere e nè ascoltare, più.
Trasformandoci così, pienamente consapevoli, nei costruttori di quelle sbarre che ci incarcerano in una prigione, dove incredibilmente, noi stessi, ne diventiamo addirittura le guardie.
Intransigenti verso noi stessi, disciplinati come soldati, nella nostra diabolica coerenza,
obbediamo a ordini che ci auto infliggiamo, per nascondere in realtà, quella moltitudine di
insuccessi interiori che ci portano ad obbedire senza coscienza.
Che questa prigione sia auto inflitta oppure imposta da altri, poco importa, noi abbiamo deciso di adeguarci, abbiamo cercato e trovato quella zona di confort che ci fa sentire falsamente protetti;
una falsa zona sicura che ci culla in un oblio dal quale non vogliamo svegliarci.
Coccolati nel nostro carcere, costruiamo una realtà denominata "del meno peggio"
accontentandoci delle briciole che cadono dalla tavola del padrone.
Coccolati nel nostro carcere, costruiamo una realtà denominata "del meno peggio"
accontentandoci delle briciole che cadono dalla tavola del padrone.
Rinunciando a quel vero
benessere e a quella vera libertà che non vogliamo più cercare. Anzi, ridefinendone il vero
significato letterale con nuovi termini, in una sorta di neolinga orweliana, che ne snatura le reali
prospettive.
Ci definiamo liberi, secondo quegli schemi mentali auto imposti, snaturandoci nella nostra vera essenza di persone, illudendoci di avere così scoperto la ricetta per la vera felicità.
Salvo poi scoprire, con lancinante dolore, che nulla è per sempre e quegli idoli a cui ci eravamo piegati, con ossequiosa diligenza, altro non erano che un miraggio prodotto nel deserto di
un'anima ormai arida e desolata, così trasformata da una schiavitù scelta con immanente
convinzione.
Nascosti ormai tra le macerie di quelle rovine che abbiamo prodotto, cerchiamo rifugio in un qualcosa che possa ridarci speranza, e di nuovo, attraverso le finzioni del mondo, ci leghiamo ancora ad una falsa spiritualità, frutto di una religione insegnata da uomini e non da Dio.
Raccogliamo così, ancora una volta, quei frutti caduti da alberi malvagi, opere di uomini, che altro non sono che i postumi di quelle rovine e quel disastro che immanentemente continuiamo a
rincorrere, saltando da una pietra all'altra, alla ricerca di una strada che ci faccia vedere oltre.
Continuiamo ad inciampare, a cadere, perchè nonostante tutto abbiamo ancora paura di vedere
e di ascoltare.
Appoggiamo il peso di tutto quello che ci accade, sulle nostre spalle, credendo e auto
convincendoci, di essere forti come quegli dei di un'antica Grecia, che nelle loro idolatriche statue reggevano tutto il mondo. Ma poi finiamo proprio come loro, cadute, rotte e rovinate dal passare del tempo, dimostrando ancora una volta, che quegli dei, altro non erano che l'ennesimo inganno prodotto dall'uomo.
Tra falsi dei, un'autoreferenzialità orgogliosa ed egocentrica, e il nostro innato desiderio di
demandare ad altri le soluzioni ai nostri problemi, non riusciamo ad elevarci al di sopra del
nostro piccolo ed inutile "io".
In tutto questo disorientante caos, sembra non esserci uscita. Sembra che tutto ciò abbia un
ciclo perenne che torna e ritorna. Un ciclo che nella storia studiata e che ci viene insegnata,
l'uomo è il problema, il peccato, la zizania da bruciare, la causa di tutto.
Come se fossimo l'origine di una brutta realtà auto prodotta...
Ma della storia non studiata, quella che non ci viene insegnata, ma che pre conosciamo ancor
prima di essere, ne abbiamo una concezione diametralmente opposta.
Quando finalmente, per grazia, come avessimo ricevuto un dono, cominciamo ad intravedere, e
impariamo ad ascoltarci solo appena, ci accorgiamo, che in realtà, noi siamo invece, proprio la soluzione.
Noi non siamo il problema, non siamo il peccato e non siamo la zizania, bensì il grano nel campo.
Ma per essere grano dobbiamo imparare ad accettare ed accogliere quella luce che ci viene così generosamente e amorevolmente donata quotidianamente.
Quella luce che inizia dal nostro concepimento, attraverso quel soffio vitale che fa innescare
quella scintilla che ci dona la vita e che ci accompagna per tutta la nostra esistenza.
Quella scintilla che dona alla nostra anima quella vera immortalità che Dio ci ha profuso.
Quella luce che è in grado di illuminare ogni cosa, anche quegli ostacoli che ne impedirebbero la propagazione, dandoci così la possibilità di vederli, e nel nostro libero arbitrio, di decidere di
abbattere ogni cosa che ci vorrebbe invece ostacolarne la visione, atteaverso ombre e zone buie.
Ma come il popolo eletto che vagò nel deserto per quarant'anni a causa del prorprio "collo duro", proprio quando cominciamo ad intravedere una lontana luce, in questa nostra evoluzione che io definisco come ascesi, ci troviamo a combattere contro quelle ombre che ci vorrebbero nuovamente nel buio, ricominciamo ad appoggiarci a falsi maestri e falsi insegnamenti e false
religioni;
benessere e a quella vera libertà che non vogliamo più cercare. Anzi, ridefinendone il vero
significato letterale con nuovi termini, in una sorta di neolinga orweliana, che ne snatura le reali
prospettive.
Ci definiamo liberi, secondo quegli schemi mentali auto imposti, snaturandoci nella nostra vera essenza di persone, illudendoci di avere così scoperto la ricetta per la vera felicità.
Salvo poi scoprire, con lancinante dolore, che nulla è per sempre e quegli idoli a cui ci eravamo piegati, con ossequiosa diligenza, altro non erano che un miraggio prodotto nel deserto di
un'anima ormai arida e desolata, così trasformata da una schiavitù scelta con immanente
convinzione.
Nascosti ormai tra le macerie di quelle rovine che abbiamo prodotto, cerchiamo rifugio in un qualcosa che possa ridarci speranza, e di nuovo, attraverso le finzioni del mondo, ci leghiamo ancora ad una falsa spiritualità, frutto di una religione insegnata da uomini e non da Dio.
Raccogliamo così, ancora una volta, quei frutti caduti da alberi malvagi, opere di uomini, che altro non sono che i postumi di quelle rovine e quel disastro che immanentemente continuiamo a
rincorrere, saltando da una pietra all'altra, alla ricerca di una strada che ci faccia vedere oltre.
Continuiamo ad inciampare, a cadere, perchè nonostante tutto abbiamo ancora paura di vedere
e di ascoltare.
Appoggiamo il peso di tutto quello che ci accade, sulle nostre spalle, credendo e auto
convincendoci, di essere forti come quegli dei di un'antica Grecia, che nelle loro idolatriche statue reggevano tutto il mondo. Ma poi finiamo proprio come loro, cadute, rotte e rovinate dal passare del tempo, dimostrando ancora una volta, che quegli dei, altro non erano che l'ennesimo inganno prodotto dall'uomo.
Tra falsi dei, un'autoreferenzialità orgogliosa ed egocentrica, e il nostro innato desiderio di
demandare ad altri le soluzioni ai nostri problemi, non riusciamo ad elevarci al di sopra del
nostro piccolo ed inutile "io".
In tutto questo disorientante caos, sembra non esserci uscita. Sembra che tutto ciò abbia un
ciclo perenne che torna e ritorna. Un ciclo che nella storia studiata e che ci viene insegnata,
l'uomo è il problema, il peccato, la zizania da bruciare, la causa di tutto.
Come se fossimo l'origine di una brutta realtà auto prodotta...
Ma della storia non studiata, quella che non ci viene insegnata, ma che pre conosciamo ancor
prima di essere, ne abbiamo una concezione diametralmente opposta.
Quando finalmente, per grazia, come avessimo ricevuto un dono, cominciamo ad intravedere, e
impariamo ad ascoltarci solo appena, ci accorgiamo, che in realtà, noi siamo invece, proprio la soluzione.
Noi non siamo il problema, non siamo il peccato e non siamo la zizania, bensì il grano nel campo.
Ma per essere grano dobbiamo imparare ad accettare ed accogliere quella luce che ci viene così generosamente e amorevolmente donata quotidianamente.
Quella luce che inizia dal nostro concepimento, attraverso quel soffio vitale che fa innescare
quella scintilla che ci dona la vita e che ci accompagna per tutta la nostra esistenza.
Quella scintilla che dona alla nostra anima quella vera immortalità che Dio ci ha profuso.
Quella luce che è in grado di illuminare ogni cosa, anche quegli ostacoli che ne impedirebbero la propagazione, dandoci così la possibilità di vederli, e nel nostro libero arbitrio, di decidere di
abbattere ogni cosa che ci vorrebbe invece ostacolarne la visione, atteaverso ombre e zone buie.
Ma come il popolo eletto che vagò nel deserto per quarant'anni a causa del prorprio "collo duro", proprio quando cominciamo ad intravedere una lontana luce, in questa nostra evoluzione che io definisco come ascesi, ci troviamo a combattere contro quelle ombre che ci vorrebbero nuovamente nel buio, ricominciamo ad appoggiarci a falsi maestri e falsi insegnamenti e false
religioni;
solo opere di uomini, che ci sviano in un percorso di auto volontà, nel tentativo di
trattenere ciò che ancora non abbiamo ben compreso.
Continuando così a sbagliare, figli di un retaggio che ci ha addestrato alla forza, fine a se
stessa, dobbiamo invece finalmemte imparare, che non dobbiamo afferrare, trattenere e
ostinatamente dominare, come qualche falso eletto vorrebbe insegnarci, bensì accogliere,
accettare e comprendere che quella luce che ci viene donata dal nostro unico Dio, è un caloroso e accogliente abbraccio che ci libera da ogni dogma, donandoci una pace che altrimenti non riusciremmo a trovare.
La nostra spiritualità, assogettata ormai da un mondo che ci guida come automi, ha subito un grande depotenziamento, portandoci a credere reale, solo ciò che tocchiamo con mano.
Trasformando così, quel misticismo insito nella nostra anima, in una sorta di sensazione da zittire e della quale, con vergogna, non ne vogliamo parlare.
Ci allontaniamo così, da tutte quelle "cose" che fanno parte di quel mondo invisibile, che proprio il nostro rinnegato Dio, ha invece creato.
Evitiamo quindi di entrare in quella dimensione, che se accolta e cercata, ci porterebbe invece ad essere un po' più vicini proprio a coLui, al quale purtroppo, non vogliamo più affidarci.
Edonismo, orgoglio, autoreferenzialità, autodeterminismo, sono solo alcuni dei termini che ci
siamo inventati per giustificare quella cecità spirituale, che ci siamo auto inflitti, per provare a
spiegarci l'irragionevole motivo, per il quale ormai non crediamo più, nel "figlio dell'uomo".
E così, ormai scoraggiati e sviliti, da un mondo che ci modella come fossimo anime di cartone,
non riusciamo ad ammettere quell'unica verità che invece è dannatamente incontrovertibile: noi siamo solo un soffio di vento che presto sarà disperso nel tempo.
Se avremo finalmente il coraggio di accettare e vedere quest'unica verità terrena, allora forse,
saremo in grado di capire e accogliere ciò che il "Figlio di Dio" voleva insegnarci più di duemila anni orsono.
Insegnamenti che ancora oggi, e forse ancor di più nel nostro quotidiano, sono diventati
indispensabili e necessari per non morire dentro.
Capire il messaggio di Dio attraverso il Cristo risorto, potrà finalmente aprirci quegli occhi chiusi da un sonno che abbiamo protratto per troppo tempo; realizzare nel nostro cuore la pienezza
dell'amore che ci dona, proprio colui che è morto per noi, ci toglie quel velo che ci impedisce di vederlo nel nostro quotidiano, che ci priva della possibilità di potergli parlare come fosse per noi un fratello, un amico, un padre...
...eterno.
Vedere, comprendere e credere alla Sua resurrezione, ci infonde quell'immortalità che da soli,
nonostante i nostri inutili tentativi, non saremmo in grado di vivere.
Giungendo così, finalmente, e dopo tanto peregrinare, a decidere di percorre quella giusta strada, piena di sassi, buche, tortuosa, ripida e insidiosa, che porta verso una piccola e stretta
porta.
Decidiamo di percorrerla ugualmente, senza timore, con santo coraggio, e rafforzati dal premio finale, affrontiamo ogni avversità, con una pace nel cuore che solo coLui che ci accompagna in
questo viaggio può regalarci.
Consci del fatto, che l'unico vero premio finale, al quale tendiamo con speranzoso desiderio,
varcando quella piccola e stretta porta, è quello di poter essere un tutt'uno con Dio per l'eternità.
trattenere ciò che ancora non abbiamo ben compreso.
Continuando così a sbagliare, figli di un retaggio che ci ha addestrato alla forza, fine a se
stessa, dobbiamo invece finalmemte imparare, che non dobbiamo afferrare, trattenere e
ostinatamente dominare, come qualche falso eletto vorrebbe insegnarci, bensì accogliere,
accettare e comprendere che quella luce che ci viene donata dal nostro unico Dio, è un caloroso e accogliente abbraccio che ci libera da ogni dogma, donandoci una pace che altrimenti non riusciremmo a trovare.
La nostra spiritualità, assogettata ormai da un mondo che ci guida come automi, ha subito un grande depotenziamento, portandoci a credere reale, solo ciò che tocchiamo con mano.
Trasformando così, quel misticismo insito nella nostra anima, in una sorta di sensazione da zittire e della quale, con vergogna, non ne vogliamo parlare.
Ci allontaniamo così, da tutte quelle "cose" che fanno parte di quel mondo invisibile, che proprio il nostro rinnegato Dio, ha invece creato.
Evitiamo quindi di entrare in quella dimensione, che se accolta e cercata, ci porterebbe invece ad essere un po' più vicini proprio a coLui, al quale purtroppo, non vogliamo più affidarci.
Edonismo, orgoglio, autoreferenzialità, autodeterminismo, sono solo alcuni dei termini che ci
siamo inventati per giustificare quella cecità spirituale, che ci siamo auto inflitti, per provare a
spiegarci l'irragionevole motivo, per il quale ormai non crediamo più, nel "figlio dell'uomo".
E così, ormai scoraggiati e sviliti, da un mondo che ci modella come fossimo anime di cartone,
non riusciamo ad ammettere quell'unica verità che invece è dannatamente incontrovertibile: noi siamo solo un soffio di vento che presto sarà disperso nel tempo.
Se avremo finalmente il coraggio di accettare e vedere quest'unica verità terrena, allora forse,
saremo in grado di capire e accogliere ciò che il "Figlio di Dio" voleva insegnarci più di duemila anni orsono.
Insegnamenti che ancora oggi, e forse ancor di più nel nostro quotidiano, sono diventati
indispensabili e necessari per non morire dentro.
Capire il messaggio di Dio attraverso il Cristo risorto, potrà finalmente aprirci quegli occhi chiusi da un sonno che abbiamo protratto per troppo tempo; realizzare nel nostro cuore la pienezza
dell'amore che ci dona, proprio colui che è morto per noi, ci toglie quel velo che ci impedisce di vederlo nel nostro quotidiano, che ci priva della possibilità di potergli parlare come fosse per noi un fratello, un amico, un padre...
...eterno.
Vedere, comprendere e credere alla Sua resurrezione, ci infonde quell'immortalità che da soli,
nonostante i nostri inutili tentativi, non saremmo in grado di vivere.
Giungendo così, finalmente, e dopo tanto peregrinare, a decidere di percorre quella giusta strada, piena di sassi, buche, tortuosa, ripida e insidiosa, che porta verso una piccola e stretta
porta.
Decidiamo di percorrerla ugualmente, senza timore, con santo coraggio, e rafforzati dal premio finale, affrontiamo ogni avversità, con una pace nel cuore che solo coLui che ci accompagna in
questo viaggio può regalarci.
Consci del fatto, che l'unico vero premio finale, al quale tendiamo con speranzoso desiderio,
varcando quella piccola e stretta porta, è quello di poter essere un tutt'uno con Dio per l'eternità.
[Christian B.]
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