Diario di un sopravvissuto #1
Il Risveglio
Mi sveglio di soprassalto, sono sudato, ho freddo.
Sono frastornato da una sensazione che non riesco a spiegarmi. E' mattino presto.
La radio sveglia segna le sei e diciassette. Non ha ancora suonato, non prima della mezza.
Mi siedo sul letto ancora in parte coperto dalle lenzuola bianche che ho vinto ad una pesca di beneficenza.
Sento e ascolto il mio respiro affannato e sento addirittura il mio cuore. Batte veloce, forse troppo, credo!
Fuori un silenzio che fa male alle orecchie.
Un silenzio innaturale, inspiegabile oserei dire quasi diabolico.
Cerco di tirarmi su dal letto ormai disfatto, mi tolgo di dosso quelle coperte umide e appiccicaticce che mi sembrano essersi incollate alla pelle.
Dalla finestra, attraverso gli scuri intravedo la luce del giorno che filtra nella stanza, diversa, di un colore non ben definito.
Continuo a non capire. Un brutto sogno, un' indigestione, la febbre? Cosa?
Niente di tutto ciò. A parte quella sensazione sgradevole di freddo che in realtà ora mi accorgo svanita, inizio a sentirmi meglio.
Comincio infatti ad avere finalmente caldo, quel calore tipico di questa stagione, il sudore si è asciugato. Sto bene!
Non ho nulla o almeno lo credo.
Cerco quindi di riprendermi velocemente e tento di tornare rapidamente in me stesso, apro gli scuri della mia stanza e guardo fuori dalla finestra.
Il silenzio assordante ora è accompagnato da immagini che mi rimangono ben impresse, strane e di un' irrequietezza che lascia senza fiato.
Non capisco bene cosa mi colpisce, ma so che qualcosa non quadra, lo sento e lo vedo.
Non si muove una foglia, non vedo macchine che normalmente passano in strada sotto al mio appartamento, di solito a quest' ora c'è già un po' di traffico, non sento gli uccellini e nessun cinguettio che proviene dalla gabbietta del terrazzo di fronte. Nulla.
Gli alberi nel parco vicino sembrano pietrificati, immobili, non si muove una foglia.
I vicini sembrano essere scomparsi. Il frastuono, anzi il casino che fanno tutte le mattine quando si preparano per uscire e per andare a lavorare, non si sente. Un silenzio dall'appartamento sottostante che apprezzo. Fosse sempre così.
Cerco di auto convincermi, raccontandomi che saranno andati a lavorare prima del solito, ma è strano, non accade mai. Ma può essere, deve essere così per forza, non c'è altra spiegazione.
E quella strana luce?
Provo a costruirmi una sorta di pseudo-razionali auto convincimenti, come un castello di carte troppo debole per durare nel tempo, e voglio fare di tutto per tranquillizzarmi e per dirmi che non sto impazzendo, anzi per affermare che non lo sono assolutamente.
Ma mi accorgo che sto parlando da solo! Sospiro. Di nuovo.
Decido quindi che quello strano colore che si vede nell'aria è semplicemente dovuto alla foschia, alla nebbia che si sta alzando e che si sta diradando, illuminata da un sole primaverile ancora troppo debole e parzialmente oscurato da nuvole che forse non c'erano.
Certo una nebbia così non l'avevo mai vista prima, ma deve essere sicuramente così.
Perché non dovrebbe esserlo?
Mi dirigo in cucina per farmi un caffè, accendo la macchinetta per farla scaldare, preparo la polvere, incastro il manico, schiaccio il bottone e riempio la tazzina. E' buonissimo come al solito.
Ok ora sono perfettamente sveglio. Decido di fare una doccia. Più per scacciare quelle strane sensazioni e per riappropriarmi del mio corpo, del mio spirito.
Mi vesto e mi preparo per uscire. Blue Jeans e maglietta nera senza maniche. Abiti semplici e comodi, così come piacciono a me. Mi infilo gli stivaletti di pelle nera, chiudo la cerniera laterale e sono pronto.
Continuo nella mia solita routine, quasi scordandomi quelle strane sensazioni che mi avevano svegliato così bruscamente. La lunga doccia mi ha rigenerato e il caffè addolcito con il miele mi ha dato quell'energia di cui oggi avevo proprio bisogno.
Apro la porta delle scale, le percorro verso il garage e mi dirigo verso la mia moto.
Un custom comprato ad un'asta, una vera occasione. Qualche lavoretto di poco conto ed eccola lì, la mia moto, un sogno che è diventato realtà, una shadow pronta a percorrere km e a mangiare asfalto.
La compagna perfetta per lunghi viaggi sulle strade polverose e desertiche tipiche della mia regione.
Non la metto in moto subito, decido di uscire dalla porta principale del palazzo per guardare se nella buchetta della posta c'è qualcosa per me. Ieri sono rientrato molto tardi e non ho avuto voglia di controllare. Esco...
Improvvisamente, in fretta e in maniera violenta vengo colpito nell'animo, come se avessi ricevuto una secchiata d'acqua gelida. Come una sorta di schiaffo improvviso.
Ecco riemergere quella strana sensazione che ora ricordo. Che avevo voluto scordare attribuendola ad un brutto sonno, come purtroppo a volte accade.
Quell' emozione che mi aveva sconvolto in un drastico risveglio, ora è aumentata diventando quasi palpabile, anzi lo è, e la posso addirittura vedere.
Mi fermo, mi guardo attorno e mi riaccorgo che qualcosa non va.
I negozi della via sono aperti, ma vuoti. Non c'è nessuno.
Non vedo neppure la vecchina che normalmente a quell'ora è dal lattaio per comprare la solita bottiglia.
Dal bar all'angolo non riesco a sentire il solito casino. I tavolini fuori, sotto gli ombrelloni, sono vuoti.
Aspetta! Mi dico. Ora che ci penso non ho sentito nemmeno il fastidioso rumore del camion del rusco che puntuale come un orologio svizzero passa per raccogliere i sacchi appoggiati all'esterno. E infatti ci sono ancora tutti.
Cosa diavolo sta accadendo?! Cosa CAZZO succede!
Non so bene se avere paura, non riesco a comprendere bene cosa mi sta capitando. Cosa sta succedendo?
Rientro. Ora vado verso il mio custom, è così che mi piace chiamare la mia moto, e decido di avviarne il motore, solo dopo aver aperto il grande e pesante portone di legno che mi separa dalla strada. Oggi non voglio mettermi il casco, voglio essere vigile e voglio avere la possibilità di guardarmi attorno liberamente senza impedimenti.
Percorro la strada della mia via e mi dirigo verso l'edicola del paese.
Vuota, non c'è nemmeno il giornalaio, con cui ogni mattina scambio due chiacchere sul futuro del mondo, ci consigliamo illusorie ed inutili soluzioni ai problemi che ogni mattina si leggono sulle pagine dei quotidiani che vende.
E' vuota anche la bacheca che normalmente evidenzia la notizia principale della giornata.
Ora si! Comincio ad avere paura! Non voglio averne, ho sempre cercato di dominare questo tipo di sentimento, ho sempre voluto essere forte, più coraggioso dei personaggi dei miei diabolici racconti.
Ma forse non avevo mai conosciuto sensazioni simili a quelle che oggi mi stanno nascendo dal profondo del cuore.
Non le conosco e non so come dominarle.
Mi sento spaesato, solo, terribilmente solo.
Non ho ancora visto un telegiornale, di solito lo guardo al bar all'angolo dove prendo il secondo caffè. E' un bar di passaggio, poche chiacchiere, una consumazione e via, proprio come piace a me. Non amo particolarmente socializzare con sconosciuti e voglio quindi che rimangano tali, lontani e distanti.
Passo tra i tavolini vuoti del bar e che invece normalmente sarebbero già pieni, occupati da esperti giocatori di carte dai capelli bianchi che già alle sette e mezza del mattino sono li pronti a battersi a suon di briscole e tre sette, vecchietti che sentendosi terribilmente soli hanno come unica compagnia il gioco delle carte, anche a quell'ora assurda.
Oggi non ci sono. Dove diavolo sono finiti? Dove sono scomparsi?
Entro. Ormai quasi abituato al fatto che anche qui non c'è nessuno. E' vuoto anche il bar.
Il televisore è spento. Strano! Non lo è mai.
Lo accendo. Voglio sapere cosa sta succedendo. Voglio sentire parlare qualcuno, anche se solo tramite un televisore, voglio sentire la voce di una persona.
Nebbia. Tanti piccolissimi e fittissimi puntini neri su sfondo bianco sono l'unica cosa che si vede dallo schermo piatto appeso alla parete. E il rumore fastidioso tipico di un segnale non ricevuto, un gracchiare irritante, come una radio rotta.
E ora? Cosa faccio? Dove vado?
Non ho un ufficio o una postazione in una catena di montaggio di una fabbrica che mi aspetta, non ho un luogo di lavoro da raggiungere. Io vivo dei miei racconti, come quello che sto scrivendo oggi.
Solo che normalmente sono inventati e li vendo ad un editore locale che me li pubblica sulla rivista del paese, Mistery, nella sezione racconti dell'horror.
Ha una tiratura limitata, ma mi consente di vivere dignitosamente, non ho grandi pretese. E soprattutto mi consente di mantenermi facendo qualcosa che mi piace. Scrivere.
Non so più cosa pensare e non so cosa fare.
Devo capire.
Esco dal bar, ripasso tra i tavolini vuoti, mi assale un velo di tristezza e di sconforto, quando ad un tratto vedo in lontananza un motorino per terra. Un borsone giallo vicino, è proprio quello che ha attirato la mia attenzione, un giallo che risalta in questo maledetto grigiore che continua a prevalere nell'aria e che sembra non volersene andare. Una nebbiolina finissima che non permette di vedere oltre un centinaio di metri.
Sembra proprio lo scooter del porta lettere del paese. Mi avvicino e ne ho la conferma. Lui non c'è.
Frugo tra la posta dentro alle enormi tasche della sacca e non trovo nulla che mi riguardi.
Cerco tra le lettere finite a terra e ne trovo una indirizzata a me.
Sopra c'è scritto il mio nome: Jordan McCain.
Arriva dalla rivista per cui scrivo. La apro. Un assegno.
Siamo a fine mese e come al solito, in maniera molto puntuale, mi hanno spedito il mio compenso.
Normalmente farei i salti di gioia, aspetto sempre con ansia gli ultimi giorni del mese.
Ci arrivo sempre con pochissimi soldi nelle tasche.
Oggi non riesco a gioire.
Rimango immobile, in ginocchio vicino alla borsa, con l'assegno in mano. Stordito da una quotidianità spezzata, stroncata da una sorta di stranezza forzata e non ben definibile e che ti lascia senza parole, senza respiro.
Vago per il paese in cerca di vita, camminando come uno zombie, trascinandomi in un lento intercedere indeciso e quasi tremolante. Rassegnato al fatto che non c'è più nessuno.
Suono campanelli a caso alla ricerca di una voce che non arriva. A volte urlo forte, fortissimo, chiedendo disperatamente al vuoto che mi circonda se c'è ancora qualcuno, qualche anima disperata che come me cerca ancora segni di sopravvivenza. Niente. Un bene emerito cazzo di niente!
Mi riprendo per un attimo, distratto dal rumore dalla voce del mio stomaco. Mi sta comunicando che vuole essere riempito. Ho fame!
Entro nel mini market del paese, e ormai non curante del fatto che anche in questo luogo non avrei trovato nessuno, mi dirigo verso il banco dei salumi.
Mentre mi avvicino al reparto che mi interessa passo accanto alla scansia del pane confezionato e in un gesto che non mi appartiene, con un veloce automatismo nato per caso, ne prendo un sacchetto e vado a riempirlo con un saporitissimo salame che taglio con l'affettatrice del macellaio che non c'è.
Ho sete. Agisco come prima, senza preoccuparmi di essere visto. Infatti mi servo da solo aprendomi una buonissima lattina di birra. Adoro la birra.
Mi siedo per terra, ora sono troppo occupato a soddisfare fabbisogni primari ed irrefrenabili.
Non penso. Mi riempio la pancia con gusto, freneticamente, e basta.
Mi auto consolo mangiandomi un qualcosa che mi soddisfa il palato, una cioccolatina come dessert, e l'ultimo sorso di birra. L'ho finita, ma non mi interessa, sembra infatti che d'ora in poi potrò berne quante ne voglio senza dovermi più preoccupare di pagarle a qualcuno tanto meno ad un improbabile cassiere che non esiste più.
Già, infatti non c'è nessuno. Più nessuno, possibile?
Mi ritrovo nuovamente tra le vie del mio piccolo paesino, poco più di cinquemila abitanti. Non dico di conoscerli tutti, ma poco ci manca, se non altro di vista.
Guardo l'orologio sotto l'insegna della farmacia accanto alla videoteca, sono le quattro del pomeriggio.
Mi soffermo sulla videoteca e mi viene alla mente un aneddoto divertente, ho voglia di ridere. Quando affittavo qualche film che non avevo visto al cinema andavo proprio li. Alla videoteca 'Fantasy', noleggio ventiquattro ore su ventiquattro.
L'unica videoteca del paese sopravvissuta alla nascita delle tv satellitari solo grazie alla vendita e al noleggio di film proibiti. Vendeva e noleggiava sogni erotici. Sogni proibiti alla maggioranza degli uomini che abitano questo paese.
Troppo casto e puritano per permettere loro di uscire dalla normalità. Meglio rifugiarsi nei sogni, più facile e meno problematico.
Normalmente è frequentata da personaggi di ogni razza, incravatati, vecchietti, operai, pensionati, e anche adolescenti, tutti e solo uomini, molti dei quali avevano come unica direzione la stanza delle fantasie proibite. Uscivano da li come improbabili agenti segreti, con una indiscrezione che avrebbe fatto invidia a James Bond.
Con un'occhiata guardavano il gestore che in un attimo capiva e batteva lo scontrino, senza troppe domande senza creare probabili imbarazzi. Pagavano e ancora una volta, con uno sguardo furtivo, nascondevano il video sotto la giacca e sperando di non essere stati visti e capiti da chi in quel momento era li dentro, uscivano. Un sogno stava per cominciare, a portata di telecomando.
Mi divertivo a fissarli per aumentare il loro disagio... Mi divertivo così!
Ritorno alla realtà come se fossi stato appena teletrasportato in un posto dove non voglio più stare.
Il mio amato piccolo paese, ora iniziava a starmi stretto e a darmi fastidio.
Già, non volevo più stare li. Mi creava irrequietezza e cominciavo a non sopportarlo più.
Stanco di vedere che ero, anzi, che sono solo.
Riprendo a vagare senza meta, voglio raggiungere il mio custom, l'ho parcheggiato, se così si può dire, vicino all'edicola.
Ho lasciato le chiavi inserite, tanto ho la certezza che nessuno lo porterà via, nessuno lo ruberà.
E infatti lo ritrovo così come lo avevo messo, completamente in mezzo alla piazzetta, quasi davanti all'entrata dell'edicola. Tanto non avrebbe infastidito nessuno.
Già perché non c'è più nessuno. Odio questa parola. 'Nessuno'.
Vorrei non essere più in grado di ripeterla, vorrei cominciare a dire finalmente la parola 'qualcuno'...
Mi siedo sulla moto, il mio custom, così come si cavalca il proprio destriero, l'accendo e mi dirigo verso l'unica pompa del paese e ne approfitto.
Faccio il pieno. Il serbatoio pieno fino al colmo, incredibile!
E quando mai il mio custom ha bevuto così tanto? Se non lo faccio ora?
Mi dirigo verso la periferia all' ormai disperata ricerca di vita. Giro per qualche ora, ho il sedere indolenzito. Il sole comincia a scendere per lasciare il posto alla notte che tra un paio d'ore al massimo avrebbe fatto da padrona.
Mi fermo davanti ad un casolare che non ricordavo ci fosse. Non vengo spesso da queste parti, ma quel fabbricato di legno proprio non ricordavo di averlo mai visto.
Decido di entrare, vuoto, nemmeno un mobile. Internamente non è messo male, vecchio si, ma funzionale. Lo ispeziono con morbosa curiosità, almeno per il piano terra, alla ricerca di non si sa bene cosa. Non trovo nulla che mi interessi.
Ma tanto cosa avevo da fare? Era un modo come un altro per cercare di allontanare la paranoia e per passare un po' il tempo. Tempo!
Di quello sembra, ora come ora che ce ne fosse all'infinito, senza doversi preoccupare più di scadenze, consegne, pagamenti, di nulla che riguardasse l'inesorabile girare delle lancette.
Almeno un lato positivo lo avevo trovato. Maledetto ottimismo.
Salgo la scala che mi porta al secondo piano del casolare, e mi affaccio alla finestra del corridoio, vedo il mio custom e mi accorgo che fuori è già buio.
Prima del tempo, come se quella maledetta finissima nebbiolina che ancora non se n'era andata, avesse contribuito all'avanzare inesorabile del buio.
Ora era notte, o almeno così sembrava, mi trovavo in un paese completamente disabitato, all'interno di un vecchio casolare di periferia che non ricordavo ci fosse, solo con me stesso.
Come unica compagnia, certo il mio fantastico destriero, il mio custom, ma anche il mio taccuino, il piccolo quaderno su cui ora sto scrivendo questa incredibile storia, compagno di mille avventure inventate le cui paginette mi hanno sempre dato la possibilità di fissare nel tempo pensieri ed emozioni da inserire in uno dei miei racconti dell'horror.
Solo che ora era tutto vero. Tutto terribilmente reale.
Decido di non uscire. Non so perché, forse per continuare a scrivere questo diario, il diario di un sopravvissuto, forse per paura del buio e di quella maledetta finissima nebbiolina, forse per semplice stanchezza.
Forse per smetterla almeno per un momento di cercare qualcosa e qualcuno che so già di non riuscire a trovare e che forse non avrei più trovato.
Mi siedo per terra, mi appoggio con la schiena contro la parete vicino al finestrone del corridoio del secondo piano e in men che non si dica mi ritrovo addormentato. La stanchezza ha preso il sopravvento assieme ad un inatteso e indomabile carico di stress, chiudo gli occhi.
Non per molto, credo forse per un attimo, non ne sono sicuro.
Non sono più sicuro di molte cose ormai.
Un rumore. Fuori? Dentro la casa? Non capisco bene.
So solo di aver sentito finalmente un qualcosa che incredibilmente non è stato prodotto da me, non capisco da dove arriva.
Mi fa temere ma alla stesso tempo incuriosire. E se ci fosse finalmente qualcun altro la fuori? O qui dentro? Se non fossi più solo?
Mi sollevo in piedi e mi avvicino alla finestra, intravedo solo il mio custom, avvolto da quel profondo buio che circonda anche tutta la casa. Mi aiutano solo quei pochi lampioni della strada, anche se offuscati da quella maledettissima fitta nebbiolina che non vuole andarsene.
Non vedo altro. Non si riesce a vedere altro.
Mi accorgo, quasi stupito ed irritato, che non ho ancora controllato le stanze del secondo piano. Tanto ero tranquillo e tristemente rassegnato dal fatto che non ci fosse nessuno. Non l'avevo considerato importante e avevo preferito sfogarmi scrivendo sulle pagine di questo quaderno.
Tanto non c'era nessuno in tutto il paese. Figuriamoci qui!
E se mi fossi sbagliato?
Le quattro stanze del secondo piano sono tutte chiuse da scure e massicce porte di legno.
I giochi d'ombra creati dai lampioni stradali vicino disegnano strane forme all'interno del corridoio che intrecciandosi con i rami degli alberi del giardino del casolare, formano strane immagini, che un pochino mi allarmano.
Mi preoccupano. E di cosa? Sono solo ombre? O NO?!
L'adrenalina sale.
Devo semplicemente aprire delle maledette porte, ma l'adrenalina comincia a darmi delle scariche lungo la schiena facendomi sentire particolarmente euforico, come se fossi drogato da una sensazione di felicità forzata e non voluta e che difficilmente riesco a domare.
Apro la prima e come in uno dei racconto che scrivo per 'Mistery', la porta cigola, contribuendo così ad aumentare quella irrequietezza che ormai si percepisce anche nell'aria.
La stanza è vuota, piccola e senza finestre. Riesco a controllarla molto velocemente e nonostante la poca luce della pila che ho preso da una delle due sacche del mio custom, riesco a vedere ciò che voglio. E' libera!
Passo alla seconda, giro la maniglia della porta ma non si apre. Sembra chiusa a chiave, o forse no, infatti non vedo fessure dove inserirla.
Quindi penso che sia semplicemente incastrata, gonfiata dall'umidità e intrappolata dagli stipiti ormai diventati troppo stretti. Provo a spingerla, a scuoterla. Niente non vuole saperne di aprirsi.
Procedo oltre. Ne rimangono altre due.
Per un attimo mi fermo. Spengo la piccola torcia, per non consumare subito la pila, è da tanto tempo che non la cambio e non vorrei rimanere al completo buio.
Perlomeno non dentro ad una delle ultime due stanze rimaste. Mi riavvicino alla finestra. Guardo fuori, il custom è ancora lì, come a volermi tranquillizzare in un rassicurante 'io ci sono'. E' come un punto fermo, l'ultimo rimasto, per ora.
Riprendo coraggio e mi dirigo verso la terza porta.
La apro bruscamente, tiro fuori la piccola la torcia dalla stretta tasca dei jeans che avevo momentaneamente spento e che non avevo ancora riacceso. Ora la accendo con una semplice pressione sul retro e illumino la stanza, sembra molto grande e a differenza dell'altra e di tutto il resto della casa, qui ci sono dei mobili.
La luce non è molto forte e comincia a traballare, si sta scaricando o sta andando a farsi fottere la vecchia lampadina. Non ora, non adesso.
Non vedo oltre e per controllarla tutta devo aggirare il vecchio armadio posizionato al centro della stanza. E' coperto da un grande lenzuolo impolverato.
Mi rendo conto che la quarta porta fa parte dello stesso ambiente.
Bene così. Non devo preoccuparmi di aprirne un'altra. Non sopporto più la tensione.
Aggiro l'armadio e vedo una finestra sulla parete laterale, quella più lunga, di fronte alle porte. Voglio affacciarmi per osservare cosa c'è da quel lato del casolare.
Mi avvicino alla finestra, ha un vetro rotto ma è intero, con una piccola ragnatela di sottili fessure che la rendono fragile e pericolosa indebolendola così nella già leggera intelaiatura di legno.
Le piccole crepe sono vicino ad un angolo in alto del vetro, una rottura creata probabilmente da qualche uccellino che ci ha sbattuto contro, ripetutamente, da dentro come se avesse tentato di scappare e cercando una disperata via di fuga, per allontanarsi da non so bene cosa o da chi. Intravedo infatti una manciata di piume per terra.
Decido quindi di non aprirla e mentre tento di guardare fuori sento nuovamente quel rumore.
Ora lo ascolto meglio. Cerco di identificarlo ma non lo riconosco.
Sembra un fruscio seguito da uno scoccare secco e veloce.
Di nuovo, lo risento, è strano.
Corro sulle scale, scendo al piano terra e mi dirigo verso la porta d'uscita. Cerco la mia piccola torcia che non riesco a trovare, mi deve essere caduta durante la frenetica corsa lungo le scale. Procedo lo stesso verso la presunte direzione del rumore che ho appena sentito. Cammino con passo sostenuto, comincio a correre, arrivo sul retro del casolare. Ora i lampioni della strada non arrivano ad illuminare ciò che vorrei vedere. E' di nuovo buio.
Mi fermo, tiro il fiato e cerco. Con lo sguardo. Lo spingo sforzandomi, vicino agli alberi del fitto boschetto. Non riesco a trovare nulla. Mi avvicino, avrei bisogno della mia torcia, ma sono costretto a fare senza. Voglio continuare a controllare se c'è qualcuno o qualcosa.
Gli alberi, proprio come questa mattina sembrano completamente impietriti, non si muove una foglia o meglio un ramo e i piccoli aghetti dei pini del ristretto boschetto sembrano lunghe appendici di forti e robuste braccia che non vogliono farmi passare.
O forse sono io a volerlo credere e a non riuscire inconsciamente ad avanzare.
Eccolo! Di nuovo, un altro rumore. E' più vicino. Forse sono ad un passo dalla soluzione di questa incredibile e maledetta giornata.
Poi più niente. Non riesco più a percepire nessun rumore. Ma procedo ugualmente, devo e riuscirò a trovare qualcosa. Mi fermo, cambio idea.
Decido di rientrare per cercare la torcia e mi ricordo di non aver controllato la seconda stanza del secondo piano. Devo farlo, ma prima la torcia e la trovo vicino al corrimano della scala. Al piano terra, avevo ragione mi era caduta durante la corsa.
Vado al secondo piano, davanti alla porta della seconda stanza e con un paio di calci ben assestati riesco finalmente ad aprirla. Mi fermo e come colpito da un pugno allo stomaco vengo sopraffatto da uno sgradevolissimo odore, troppo forte da sopportare. Mi copro il naso con la maglietta e decido di entrare. Con cautela e con la paura che ormai cresceva dentro di me insieme ad una sorta di insana pazzia che ormai non dominavo più.
Nessuna finestra, piccola anche questa come la prima, solo dei segni, ovunque, per terra sulle pareti, sembrano disperate scie a cinque linee disegnate da mani terrorizzate e doloranti. Di colore rosso.
Questa maledetta stanza sembra essersi trasformata in un mancato rifugio per qualcuno che non ce l'ha fatta. Ora non riesco più a dominare la paura. La sento e non la scaccio. Mi serve per rimanere vigile e attento. Sono terrorizzato. Pazzamente impaurito.
Esco da quella trappola che sembra senza via d'uscita, inciampo sui miei piedi, le gambe non mi reggono più e mi ritrovo accovacciato in un angolo, come un cane abbandonato.
Sono talmente frastornato che credo di essere rimasto in quella posizione per parecchio tempo, non so quantificarlo e non mi interessa farlo.
Mi ci vuole un po' prima di ritornare in me stesso, sto vivendo in un incubo, come in uno dei miei maledetti racconti dell'orrore, proprio come quello che sto continuando a scrivere ora.
Solo che questa volta il protagonista sono io...
(Continua...)
[Christian B.]
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