Sotto Terra #10


IL PORTELLONE

Continuai a cercare nelle cartelle del desktop, una dopo l'altra, con una continuità che aveva del maniacale, con una precisione che spaventava.
Cominciai a leggere tutti quei documenti che avevo appena intravisto la prima volta, alla ricerca di un qualcosa che ci potesse spiegare. Ed in effetti qualche chiarimento arrivò.
Quel bunker faceva parte di una ricerca condotta dai militari, relativa alle modifiche che il grande conflitto aveva prodotto, attraverso le radiazioni e le relative esposizioni alle esplosioni nucleari, sull'uomo, su quei pochi sopravvissuti alla sconfinata pazzia umana.
Ma evidentemente la pazzia non era finita, e quell'esperimento, su quel lettino, davanti ai nostri increduli occhi, ne era la prova.
E forse più che pazzia era  vera e propria stupidità.
Da quella, purtroppo non c'è nessuna possibilità di trovare una qualche salvezza!
Riuscii finalmente ad aprire quelle foto che non volevano mostrarsi la prima volta, e le immagini che apparvero, sul monitor ancora sporco di sangue, erano terribilmente rivoltanti.
Rappresentavano gli sviluppi, passo passo, di quella folle ricerca.
Tutto iniziava con la foto di un bambino affetto da una deformità prodotta da una importante esposizione alle radiazioni presenti nell'atmosfera. Sembrava morto, pieno di tubi ed elettrodi, appariva ai nostri occhi tristemente appesantiti da immagini che non dovrebbero essere viste, come una sorta di paziente zero.
Per poi osservarne altre, che immortalavano adulti, donne e uomini, sempre con la stessa patologia. Malformazioni che interessavo soprattutto le estrimità del corpo, come i piedi e le mani, ma anche la testa e il collo.
La seconda cartella di foto mostrava queste persone malate, che però in parte si erano metamofizzate in qualcosa che, anche se solo guardate attraverso una foto, spaventava.
L'ultima cartella di foto era ancora più agghiacciante, quelle povere persone, o forse è meglio dire, quelle spaventose creature,  erano completamente piene di tubi, collegate a numerose flebo contenenti liquidi scuri, etichettati con inquietanti simboli di pericolo. I cavi elettrici collegati alla testa, ai piedi e al cuore sembravano il prodotto di un esperimento che assomigliava a quel vecchi racconto che avevamo letto nei bunker, un antico e logoro libro che si intitolava "Lo Strano Caso Del Dottor Jekyll e Del Signor Hyde".
Il quadro era ormai completo, o almeno così credevamo.
Ma ancora alcune domande non trovavano le risposte che cercavamo.

Eravamo particolarmente disorientati, troppi eventi dannatamente sconvolgenti in una manciata di ore, ci impedivano di ragionare lucidamente, ma dovevamo capire come procedere. Cosa fare e dove andare.
Tante domande, poche risposte, in un presente che ci aveva sconvolto e che delineava un futuro pieno di nuove inquietanti incognite.

"Rob! Rob!"
Mi sentii chiamare più volte. Mi ero addormentato accanto alla tastiera, come del resto lo avevano fatto anche tutti gli altri ragazzi, ormai completamente assonnati e stanchi, da un susseguirsi di eventi, che una normale mente non riusciva più a metabolizzare. Un'ora, forse due, di un sonno arrivato all'improvviso, ma di cui ne avevamo un fisiologico bisogno.
Era Liz a chiamarmi, la prima ad essersi svegliata da quell'obbligato riposo, e mi fece notare qualcosa che mi lasciò di stucco.
Liz aveva notato, che in un angolo di quel tetro e oscuro stanzone, c'era una botola, parzialmente nascosta da una di quelle sedie ancora perterra e da un fitto strato di polvere misto a terra filtrato da quell'oblò che avevamo trovato leggermente aperto, all'entrata del bunker.
Ancora prima di svegliare gli altri ragazzi, decisi di andare a controllare da vicino, tolsi la sedia, rimettendola in piedi, da una parte, e comincia a pulire il pavimento circostante, con le mani.
Delimitai i bordi rettangolari disegnandone il perimetro sulla polvere con un dito che cercava un modo per aprirla.
Trovai un piccolo incavo, ma che non mi avrebbe permesso di aprirla. Cercai con gli occhi, attorno a me, qualcosa che si potesse incastrare nel piccolo buco, e vidi infatti una leva, non troppo lunga, che sembrava proprio essere adatta a quello scopo.
La incastrai e piegandomi insieme a quell'arnese riuscii a sollevare la botola. Liz mi aiutò ad aprirla del tutto.
A causa del rumore metallico che rimbombò nel piccolo bunker, si erano ormai tutti svegliati, e incuriositi da quello che stavamo facendo Liz ed io, vennero a darci un'assitenza incuriosita da ciò che avevamo scoperto.
Sul muro, difronte alla botola, c'era un interruttore, provammo a pigiarlo, e la luce nel tunnel si accese.
Lisa, con un calcio ben assestato, chiuse la botola e con una rabbia inaspettata ci rivolse domande inquietanti, ma anche dannatamente reali.
La paura che da quel buco potessero uscire altre creature, da cui stavamo scappando, ci paralizzò per un momento, in attesa di decidere come procedere.
Dovevamo stare attenti, l'eventualità paventata, non era priva di fondamenta e il pericolo era reale.
Decisi quindi di procedere in solitudine, per minimizzare le eventuali perdite legate all'eventualità di un attacco di quelle maledette creature. Entrai nel buco, e comincia a scendere le ripidissime e lunghissime scale, solo dopo aver chiuso la botola sopra la mia testa.
Percorsi un centinaio di metri, in un tunnel rivestito da pareti metalliche, intervallate da piccoli led, distanti una decina di metri l'uno dall'altro, che mi illuminavano il percorso.
Arrivai in fondo a quel tunnel.
Un grosso portellone, mi sbarrava la strada obbligandomi ad una momentanea resa.
Accostai l'orecchio alla porta, cercando di percepire eventuali suoni e rumori, provenienti dall'altra parte.
Il nulla.
Decisi di tornare indietro, e in questa mia obbligata retromarcia, approfittai per osservare attentamente la struttura del tunnel alla ricerca di possibili crepe o punti deboli.
Sembrava sicuro e particolarmente solido, e quindi decisi che non era stato soggetto a nessun attacco, almeno fino a questo momento.
Risalii la scomoda scala e bussai sulla botola.
Luc mi aprì e tornai in mezzo a loro.
Dopo aver discusso su quello che avevo visto,  decidemmo di tornare nel tunnel per scoprire cosa ci fosse oltre quella porta.
Il piccolo display, che avevo descritto, accanto al portellone in fondo a quel tunnel, era simile a quello del laboratorio.
Riapriamo la cartella dei codici, in uno dei computer presenti, e ci annotammo i codici rimasti, anche quelli più lunghi.
Questa volta scendemmo in due, Luc ed io, sempre per minimizzare eventuali perdite umane. Ci dirigemmo spediti verso quel grosso portellone, digitammo prima i codici più corti, poi quelli più lunghi e finalmente qualcosa si mosse.
Un secco rumore metallico echeggiò in quello stretto passaggio fatto di pesanti lastre d'acciaio ed iniziò una sorta di continuo fragore che diedero vita ad una serie di ingranaggi nascosti ai nostri occhi, forse dietro a quelle pareti, come una sequenza di grosse ruote metalliche, che girando l'una sull'altra, ne sbloccavano l'apertura, liberando così l'accesso a quello che c'era oltre.
Il grosso portellone si aprì automaticamente,  solo un pochino, rimanendo parzialmente comunque socchiuso, in attesa di essere tirato e spalancato completamente.
L'elevata sicurezza di chiusura di questo grosso portellone sollevò un grosso interrogativo. Perchè dotarsi di una chiusura di massima sicurezza in un luogo già completamente sicuro da ogni radiazione esterna? Cosa si nascondevano oltre quella porta?

Prendemmo coraggio, e lentamente, molto lentamente decidemmo di aprirla del tutto...

(Continua...)



[Christian B. ]

Commenti