Diario di un sopravvissuto #3
Quaderni...
Il Gruppo.
Passano i giorni con una monotonia incredibilmente apprezzata. Finalmente abbiamo ripreso una vita quasi normale, se non fosse infatti che fuori da questo palazzo continua ad esserci quell'infernale foschia. La nebbia della morte. È il nome che gli abbiamo dato. Non vogliamo pensarci e fingiamo che non ci sia. Non la nominiamo nemmeno. Ne abbiamo paura. Tutti. È la notte il momento più brutto, quando quelle oscure, nere ombre escono alla ricerca della prossima vittima. Come una sorta di NULLA che vuole inglobare dentro di se ogni forma di vita rimasta. Si annunciano prima con un suono che ormai odiamo e che non vorremmo sentire più. Un fruscio veloce ed un secco scoccare, come il rumore di una ghigliottina che uccide. Di giorno dentro questo vecchio condominio, cerchiamo di continuare una vita, fatta di nuove forzate ma piacevoli amicizie, collaborazioni, sorrisi e da tante anzi tantissime chiacchiere. Per troppo tempo ognuno di noi ha obbligatoriamente assistito ad un costante e tetro silenzio. Ora basta vogliamo ascoltare ed ascoltarci. Al piano terra tra le cantine e i garage ben barricati abbiamo creato una specie di magazzino. Accatastiamo generi alimentari che normalmente, di giorno, con i ragazzi andiamo a reperire in qualche negozio o in qualche appartamento ancora fornito. Gli altri tre piani rimasti sono equamente suddivisi tra gli ultimi sopravvissuti che ho raccolto per strada. C'è spazio ancora per altri. Nel nostro lungo viaggio ormai soprannominato 'della speranza' abbiamo trovato numerosi quaderni, gli unici segni di vita rimasti, testimonianze di mancati sopravvissuti che hanno voluto lasciare un segno indelebile, nel tempo, una testimonianza per chi sarebbe arrivato dopo. Ogni giorno prima che faccia buio ne leggiamo uno a caso, come una preghiera, come a voler scongiurare che tutto ciò prima o poi abbia un termine. Abbiamo una radio con cui quotidianamente più volte al giorno cerchiamo qualche contatto, qualche sopravvissuto abbandonato, solo. Chissà forse qualche altro gruppo che come il nostro sta tentando di sopravvivere. Ma ancora niente. Tutti noi abbiamo un diario, un quaderno su cui scrivere le nostre esperienze. Quasi una forma di rispetto per chi ha cominciato prima di noi questa ormai sacra e divina abitudine. Siamo in cinque persone, un gruppo di cinque disperati sopravvissuti, tre uomini e due donne. Io mi chiamo Erick Johnson e sono il più vecchio. Ho 45 anni e ho comunque poca differenza di età con gli altri del gruppo. Si fidano tutti di me, si appoggiano come se fossi il loro capo, ma non lo sono. Non so perchè ma sembrano che loro vogliano così. Probabilmente i miei capelli brizzolati, come la barba ormai incolta e la mia alta statura incutono quella soggezione che li fa sentire protetti. Ci siamo barricati in questo piccolo condominio, il primo palazzo a caso che abbiamo occupato quando la prima infernale ombra ci ha assalito, cogliendoci all'improvviso, all'imbrunire; è passato già un mese. Non ci siamo più spostati. Non vogliamo più rischiare. Ora sono impegnato nella riparazione di un depuratore dell'acqua. Ci serve per continuare ad averla potabile, ci serve per sopravvivere. Nelle cantine di questo vecchio palazzo sono riuscito a trovare tutti gli attrezzi di cui ho bisogno, mancano solo alcuni pezzi di ricambio. Presto riusciremo a recuperarli, da qualche parte. Ormai il più è fatto. Di giorno sembra tutto tranquillo a parte quella fastidiosa e persistente nebbia malefica, le ombre sembrano apparire solo di notte, anche se ultimamente non ne siamo più tanto sicuri. Di cosa possiamo esseri più sicuri ormai? Meglio qua dentro, lontani da quel rumore e da quella nebbia, almeno per ora. Non è un bel vivere, finestre chiuse, sempre. Porte barricate quasi ermeticamente. Non deve passare nulla, non deve assolutamente entrare niente. Quando siamo costretti ad uscire lo facciamo veloci, fulminei, pronti a rinchiuderci dietro le spalle il portone che ci tiene separati da quella strana nebbia mortale. Non dobbiamo farla entrare. Sembra funzionare, siamo ancora vivi. Per ora...
A caccia di viveri.
Oggi tocca a me, come daltronde accade quasi tutti i giorni. Devo andare a prendere qualcosa da mangiare e devo cercare delle medicine. Sembra che una delle ragazze, Sara non si senta troppo bene. Devo trovare degli antibiotici per scacciare la febbre, per ora è bassa, ma non si sa mai. Di solito preferiamo muoverci in coppia, è sempre meglio uscire in due per pararsi la schiena a vicenda. Si offre Larry per permettere alle ragazze di riposare e per consentire ad Erik di continuare a riparare il depuratore dell'acqua. Ne abbiamo bisogno e lui è l'unico che può riuscirci. Ha l'esperienza necessaria. Cerchiamo di uscire sempre di giorno. Non vogliamo incappare in quelle diaboliche ombre che per ora sembrano apparire solo nelle ore notturne. Larry è contento di uscire con me, sono un ex militare e il mio addestramento ora mi è utile. Ci tiene in vita. Ero un semplice marines, ho ancora la targhetta con impresso il mio nome. Scotty Smith.
La conservo come porta fortuna. Larry invece è un insegnante di storia, impacciato e timido. Ma sembra in gamba. Mi è simpatico. Decidiamo di uscire, veloci e ci chiudiamo dietro di noi il portone, in un attimo, perché vogliamo che questa casa continui a rimanere sicura, per tutti. Ci muoviamo con cautela, strisciando vicino ai palazzi, pronti a rientrare in qualche casuale portone, al primo sgradito suono che non vogliamo sentire. Abbiamo camminato parecchio, almeno per un'ora. Lungo il tragitto non abbiamo trovato anima viva, e la cosa è abbastanza sconfortante. Continuo a non credere di essere rimasti i soli. Non voglio crederlo. Finalmente arriviamo alla prima farmacia che riusciamo a trovare, districandoci in questo maledetto grigiore creato da questa solita, persistente e maledetta foschia. Siamo stanchi, e terribilmente stressati . Ancora carichi di una adrenalina che non ci abbandona mai ma che ci aiuta a proseguire. A rimanere vivi.
È dannatamente chiusa, il grosso portone a vetri non si apre. Proviamo a spingerlo, scuoterlo, niente. Larry si offre di forzare la serratura con un piccolo temperino. Tempo perso. Non possiamo continuare a restare allo scoperto per così tanto tempo , senza un sicuro e facile riparo. Troppo rischioso. Decido in fretta e agisco. Un calcio ben assestato e siamo dentro. Prendiamo anche di più di quello che ci serve infatti riempiamo i nostri zaini fino a farli scoppiare. Medicine di ogni tipo, antidepressivi, pillole per il mal di testa, mal di pancia, mal di tutto... E ovviamente gli antibiotici. Siamo già sulla rotta di casa quando improvvisamente ci assale una sensazione di ansia che ancora non avevamo scordato. Qualcosa nell'aria sta cambiando. Non vogliamo crederci. E' ancora giorno, non può succedere ora, non con noi adesso. È come se stesse plasmando il tempo. È come se volesse e potesse modificare le regole che ci hanno tenuto in vita fino ad ora. La nebbia comincia a muoversi. Ho paura, ne abbiamo entrambi. Siamo ancora troppo lontani da casa, cominciamo a correre. Sentiamo uno di quei maledetti rumori, presagio dell'arrivo di un'ombra. Di un maledetto buco nero che uccide facendoti scomparire per sempre. Inghiottirà uno di noi, entrambi? Un suono spettrale che si avvicina. Dietro di noi a pochi metri da Larry. Io sono più veloce, lo incito e lo aiuto provando a tirargli la giacca. Lo trascino. Il panico gli rallenta le gambe. Ha paura e crede di non potercela fare. Anch'io ma lo tiro gli urlo di muoversi, lo strattono ma non ce la faccio. Larry scompare. Nel nulla, senza un urlo, nessun grido di dolore o di paura. Non ha fatto in tempo. Solo tracce di sangue per terra. Le sue mani non trovano dove appigliarsi e si sono ridotte ad arrancare per terra, con le unghie sull'asfalto, alla ricerca di una presa che purtroppo non c'era. Continuo a correre più veloce che posso e forse di più, sento solo quel maledetto rumore 'scch...slok' ripetuto, costante, come un diabolico respiro, ma che ora è finalmente lontano. Un infernale stridulo suono, come una sorta di voce, quella della morte che si annuncia prima di prendere qualcuno, di noi. Irridendoci e schernendoci nel suo ormai improvviso satanico balletto, sempre troppo veloce e dannatamente inatteso. Larry è scomparso. Non c'è più. Ora siamo rimasti in quattro. Fino a quando...?!
La radio.
Apro il portone, veloce. Ero già pronta, ho sentito le urla di Scotty. Solo la sua voce e ho capito che qualcosa è andato storto. Lo faccio entrare. Mi racconta. Scoppio a piangere. Larry era un bravo ragazzo. Tranquillo e collaborativo, un ideale compagno di viaggio. Il classico professore, moro capelli corti e unti, come se continuasse a passare troppo tempo sui libri, al chiuso. Occhialini tondi non troppo spessi che però riuscivano a nascondere la sua timidezza, come una maschera. Un bel ragazzo tutto sommato, se solo si fosse tenuto un po' meglio. Una giacchetta di panno leggera color marrone scuro che lo faceva sembrare un po' trasandato, forse gli era un tantino larga. Dopo aver preso confidenza con l'ambiente che lo circondava e le persone che gli erano accanto, diventava anche simpatico, un senso dell'umorismo intelligente. Era il nostro pallido testone! Gli volevamo bene, sembrava il più debole, anche se nei momenti giusti si è rivelato una persona in gamba. E' morto, e non riesco a farmene una ragione. Ci eravamo salutati questa mattina con il solito innocuo ed ingenuo sorriso. Un sorriso che non vedrò più. Lo comunico agli altri, ci uniamo in un corale abbraccio, silenzioso, una preghiera interiore per ricordare un amico che non c'è più. Sono tutti sconvolti. Sono scossa e non riesco a pensare al fatto che la prossima potrei essere io. La prossima volta potrebbe essere l'ultima in cui esco da questo 'castello'.
Sara sta male. La febbre è aumentata, devo occuparmi dei lei. Comincio la terapia antibiotica. Il tempo sembra non scorrere più, fuori quel maledetto grigiore rende ogni giornata uguale alle altre. Tetre e dannatamente tristi. Continuiamo ad essere i soli. Ed oggi ancora di più.
Finalmente qualcosa di nuovo, Erick ha riparato il depuratore. Ora possiamo bere l'unica acqua che abbiamo, quella del pozzo, direttamente in casa o meglio in cantina. E' riuscito a collegare dei tubi fino dentro al palazzo allacciandoli al depuratore condominale. Grandioso.
La condotta comunale non funziona da tempo e l'acqua non arriva ai rubinetti, non sappiamo perchè. Finalmente un pesante carico in meno da recuperare fuori da qui. Acqua in bottiglia, bye bye! Sara è ancora ammalata, ma comincia a scottare di meno. Gli antibiotici stanno facendo effetto. Chiacchero con lei per tenerci compagnia e per cercare di risollevarci il morale da una giornata che non scorderemo più. L'ennesima... Si sta addormentando, la lascio riposare da sola. Gioco con la radio trasmittente alla ricerca di un segnale e di una voce che non arriva, col microfono lancio messaggi vocali, mentre giro la manopola delle frequenze, in attesa di una risposta che non arriva. L'abbiamo recuperata da un vecchio camion abbandonato sulla statale, non molto lontano da qui. Larry si era occupato di smontarla, casse comprese, per poi rimontarla qua dentro, era un suo hobbies. L'ultimo suo ricordo. Sto per rimettermi a piangere quando improvvisamente ed ormai inaspettatamente sento il solito e malinconico gracchiare della radio interrompersi, per un breve attimo. Non credo alle mie orecchie. Credo di aver sentito una voce. Ricomincio ad inviare segnali di aiuto, ruoto la manopola in prossimità dalla voce percepita. Continuo a pronunciare il mio nome, LISA, sono Lisa SORRENTO, mi sentite? C'è qualcuno? Mi sentite...? Il vuoto ritorna perentorio. Chiamo gli altri, più orecchie sentono meglio. Non ci credono e pensano che abbia avuto una sorta di sussulto di ottimismo, comprensibile ma inadeguato alla situazione che stiamo vivendo. Sembrano delusi e quasi arrabbiati per la falsa speranza che gli ho creato. Ma ne sono sicura, io ho sentito una voce. Zitti e ascoltate. Riprovo a girare la manopola della radio trasmittente, delicatamente e molto lentamente. Sono aggrappata ad una speranza e quella manopola è il mio appiglio dal quale non voglio staccarmi. Nulla, solo quel fastidioso gracchiare, comincio a pensare che abbiano ragione... Quando ad un tratto, come un miracolo al quale non vogliamo credere, la sentiamo, una voce. Arriva male e un po' distorta. A tratti coperta da un segnale che ne sporca la nitidezza. Ma la sentiamo tutti. 'J...r..an' , 'chi ...la' , 'd..ve ... ...i?' Poi più niente. Non sentiamo più nulla. Continuo a ricercare la giusta posizione della frequenza, muovo l'antenna sperando che serva a qualcosa. Invano. Ritorna a trasmettere quel solito e fin troppo conosciuto rumore... Ma questa volta l'odiato gracchiare della radio si trasforma in un divino segnale di speranza. Non siamo più soli...
Preparativi.
La febbre è quasi scomparsa del tutto e finalmente mi sento un po' meglio. Riesco ad alzarmi e decido di scendere le scale, voglio andare nelle cantine. Ho sete. Ci sono tutti e stanno parlando di quella fantastica e meravigliosa voce sentita all'ultimo piano di questo 'castello'. E' così che chiamiamo questo edificio, il nostro 'castello'. La radio montata da Larry, in soffitta, il punto più alto, ha fatto il suo miracolo, quasi come se a muovere quella manopola per cercare la giusta frequenza ci fosse stata la sua mano, stretta a quella di Lisa.
Viaggio, partire, sono alcune delle parole che sento quando li vedo seduti attorno al tavolo su cui normalmente mangiamo. E infatti mi comunicano le loro intenzioni. Vogliono cercare un furgoncino da attrezzare per un nuovo 'viaggio della speranza', per riempirlo di cibo, acqua, medicine, insomma con tutto quello che dovrà e potrà servirci. Sono contraria e ho paura. Mi oppongo. Non voglio partire e abbandonare questo posto sicuro, non ne ho la forza morale necessaria. Con questo mio rifiuto riesco a zittirli tutti, in un attimo, lasciandoli esterefatti ed increduli. Mi parlano di quella voce che non ho sentito perché ancora a letto febbricitante. Ma mi assicurano che c'era e che quindi non siamo più soli. Vale la pena tentare dobbiamo trovare i superstiti ed unirci a loro, frase che mi ripetono circa un centinaio di volte. Devo dirglielo, non posso più tenerlo nascosto. Ora devo parlare. Ho perso tutta la mia famiglia in un viaggio come questo. Sono sopravvissuta solo io ad un attacco improvviso. L'ultima della famiglia NIELSON. Non voglio più fare viaggi del genere. Voglio rimanere qui, al sicuro. Non voglio più rischiare di perdere le persone che amo, le uniche che ormai conosco. Non voglio più rimanere sola, tanto meno per una falsa speranza. Mio fratello e i miei genitori sono morti in un attimo di distrazione. Stavamo ridendo in una di quelle rarissime volte in cui ricordavamo aneddoti divertenti. Ogni tanto ne avevamo bisogno, ci tenevano uniti ed in vita. Ma non quella volta. Stavamo parlando di una bellissima gita al lago e in quell'occasione mio fratello scivolò finendo proprio dentro l'acqua, tutto vestito. Ora ho solo il loro ricordo. Quasi non feci in tempo ad accorgemene, in un attimo sparirono, risucchiati all'interno. 'scch...slock' e tutto è finito.. Sono scappata più veloce che potevo, lontano. Fino a quando non vi ho trovato, e mi avete accolto nel gruppo. Siete diventati la mia nuova famiglia. Mio padre aveva deciso di andare via, in un luogo lontano da casa nostra, dalla città. In alto in un posto troppo distante. Ma lui decise che era meglio per tutti, era sicuro che fosse la cosa giusta. Non voleva dirci il perché per non darci false illusioni, ma mia madre però mi spiegò tutto. Mi disse, SARA tuo padre ha una speranza, per tutti noi. Prima che la situazione peggiorasse e che quella maledetta nebbia cominciasse a decimare la popolazione dell'intero paese, mio padre aveva sentito dei racconti di alcuni sopravvissuti. Nelle loro storie infatti veniva narrato come ad elevate altitudini non ci fosse traccia della diabolica presenza, di quella nebbia mortale. Non dappertutto, solo ad alcune latitudini e lui le sapeva, o almeno così credeva. Un nome, un luogo, l'ultimo suo ricordo, è stata l'ultima cosa che ha fatto in tempo a dirmi, prima di sparire per sempre. Io non voglio ricominciare tutto da capo. Non voglio partire...
(Continua...)
[Christian B.]
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