Sotto Terra #9
INCOGNITE
La luce divenne sempre più intensa, tanti lunghi coni luminosi che si intrecciavano l'un l'altro come una sorta di duello con le spade.
La grossa botola circolare e ben chiusa sopra alle nostre teste ci teneva protetti dall'esterno, almeno per il momento.
Lo spettacolo che si presentò ai nostri occhi fu agghiacciante.
C'era sangue dappertutto, sulle pareti metalliche, sul vetro di una stanza che sembrava una sorta di ambulatorio, sul lungo banco d'acciaio vicino a noi, su tutte le sedie sparse e disordinatamente cadute in tutto il locale.
I monitor dei terminali erano incrostati da macchie e colate di sangue ormai diventate scure come l'atmosfera che si respirava in quello stanzone.
Non c'era nemmeno un corpo, nemmeno un cadavere.
Solo sangue...
Il morale era completamente a terra, i nostri occhi stentavano ancora ad abituarsi a quel raccapricciante tetro spettacolo. Non eravamo ancora abituati alla morte, nonostante, solo qualche ora prima, ne eravamo scampati per un pelo, schivando i sui terribili fendenti inferti da quella mortale falce che si librava intorno a noi e dietro le nostre schiene, in una lotta e una corsa per la sopravvivenza che ci aveva salvato da quelle maledette creature.
Eravamo scappati da una morte certa e quella drammatica esperienza ci aveva trasformati dentro, annullando quella tenue e residua volontà di sperare in un futuro possibile.
Nonostante tutta la sofferenza accumulata nei nostri cuori e nelle ormai anime stanche e deluse, non ci eravamo ancora abituati a quel fatale destino e la morte era per noi un qualcosa da cui volevamo assolutamente rimanere lontani.
Un istinto alla sopravvivenza che ci dava ancora quella poca forza necessaria per continuare ad andare avanti.
Decisi di interrompere quel macabro momento, che sembrava non voler finire mai, e proprio come facevo nel mio bunker, decisi di prendermi cura di tutti loro.
Tirai fuori la scorta di acqua, un pentolino d'acciaio e cominciai a mischiare dentro cibo liofilizzato, dosando bene le polveri, creando un gusto particolare, creando una sorta di ricordo piacevole legato al nostro passato nei bunker.
Invitai tutti i ragazzi a fare altrettanto, e per un brevissimo istante, tornai ad essere "Liz la cuoca"...
Mangiammo per rifocillarci, ma anche e soprattutto per interrompere quel lunghissimo istante che ci stava abbattendo.
Rinvigoriti nel corpo e forse anche un po' nello spirito, decidemmo di analizzare la grande stanza, alla ricerca di indizi o di qualsiasi cosa che ci potesse spiegare.
Luc trovò il quadro elettrico del locale, alzò tutti gli interruttori che ancora erano spenti, credendolo un vano tentativo, ma incredibilmente, la luce si accese e tutti i monitor cominciarono ad illuminarsi.
Anche quella strana stanza che sembrava un ambulatorio, si illuminò.
E ci accorgemmo subito che non era ciò che ci era sembrato all'inizio, era invece un misterioso ed inquietante laboratorio di ricerca.
Sul lettino, al centro, c'era qualcosa, coperto da un lenzuolo bianco.
Non l'avevamo ancora notato in quella caotica situazione e le luci delle nostre torce avevano giocato con le ombre in un modo così irreale che non ci aveva permesso di identificare i particolari di ciò che invece ci si presentava davanti ai nostri increduli sguardi, in quel preciso momento. I riflessi del vetro, in quel buio, non buio, avevano oscurato parzialmente l'interno del laboratorio, celando così ai nostri ormai stanchi occhi ciò che ora, invece, illuminato dalla luce dei led a soffitto, era dannatamente diventato chiaro.
Ci appoggiamo alla porta in vetro temperato e antisfondamento spesso almeno cinque centimetri, e provando a procedere come per entrare, facemmo leva sulla maniglia, ma non ci muovemmo minimamente, rimanendo quasi ironicamente schiacciati l'uno sull'altro.
Accanto alla serratura c'era un piccolo display con un'altrettanto piccola tasierina numerica.
Cercammo il codice in tutti i cassetti. Ma nulla, aprimmo ogni stipetto metallico, ma contenevano solo camici, guanti e mascherine.
Jay di Seagull ebbe un'intuizione, si mise al computer e cominciò a gicare con i tasti, come se sapesse cosa stava facendo. E forse era proprio così.
Aprì le cartelle del desktop, nessuna aveva un nome particolare, niente che ci potesse aiutare nella ricerca, alcune contenevano documenti scannerizzati, altre foto che non volevano aprirsi, in altre c'erano appunti che ricordavano un diario di bordo e finalmente, ne trovò una che sembrava una sorta di promemoria da usare in caso di emergenza.
C'erano dei codici, senza descrizione, alcuni troppo lunghi per il nostro scopo, altri potevano essere provati.
E così facemmo...
La porta si apri.
Entrammo...
La prima a varcare la soglia fu Lisa di Blackbird, a seguire tutti gli altri.
Girammo intorno al lettino. Standone quasi involontariamente distanti, per quanto fosse possibile visto le strette dimensioni del piccolo locale,
Ci concentrammo sugli armadietti a vetri che erano
ricolmi di provette, siringhe e strani fluidi in altrettante singolari ampolle.
Medicinali che non conoscevamo, erano contenuti in vasetti trasparenti, e nelle etichette che li catalogavano c'erano impressi nomi incomprensibili.
Nessuno aveva il coraggio di fare ciò per cui eravamo entrati, sollevare quell'enigmatico lenzuolo...
Uno di noi involontariamente, si scontrò contro un angolo di quel freddo e metallico lettino, trasformando quel breve attimo, in un istante che ci sembrò eterno...
Un braccio, o qualcosa di simile ad un arto, non ancora ben identificabile, scivolò fuori dalla sagoma coperta, oltre il lenzuolo, e rimase lì, fermo, penzolante davanti ai nostri increduli occhi, una irrazionale tangibile immagine che ci aveva tolto il respiro. Era terrificante.
Quelle che noi credevamo essere delle vene di un braccio erano sproporzionatamente enormi, grosse e gonfie, evidenziando un arto non umano, anche se in parte gli assomigliava, molto forte e muscoloso, solido ma allo stesso tempo agile, abile probabilmente al suo scopo, che cominciavamo ad intuire.
E lì dove ci sarebbe dovuta essere una mano, c'era qualcosa che nessuno di noi riusciva a capire.
Una cartilagginea e ossuta protuberanza appuntita e apparentemente anche affilata, lunga una quarantina di centimetri.
Rob decise, in un colpo secco ed inaspettato, di strappare via da quel pietrificante momento, quel lenzuolo che ancora ci teneva legati ad un terrorizzante istante che ci teneva immobili ed increduli.
Lisa si girò di scatto e fu istantaneamente costretta in un gesto involontario a dare di stomaco. Io mi coprii il volto con entrambe le mani per almeno qualche secondo, alla ricerca di un rassicurante momento che mi restituisse quella razionalità di cui avevo tremendamente bisogno. E gli altri ragazzi, quasi in coro esclamarono il loro terrorizzato stupore con una serie di parolacce irripetibili.
Quelle che dovevano essere delle probabili gambe erano invece sostituite da nodose, lunghe, ed esili arti, con più punti di snodo, come se avessero avuto almeno due ginocchia per arto.
Questi incomprensibili arti terminavano con una sorta di piede, che però non aveva nulla a che fare con qualcosa che potesse sembrare naturale.
Più simile ad una specie di larga e spessa paletta, era però sproporzionatamente più grande e al posto delle naturali cinque dita aveva un unico artiglio ricurvo appuntito.
Lo stomaco, il torace, non erano più delineabili, in quanto erano stati chirurgicamente aperti e divaricati. Sezionati.
L'interno era invece molto simile a quello umano.
Quello che ci sconvolse di più fu proprio quello che continuammo a osservare, proseguendo la nostra ispezione verso quella cosa che sarebbe dovuta essere una testa.
Dalla linea delle spalle, perpendicolarmente verso l'alto, si protraeva un collo lungo, nodoso, e dannatamente muscoloso che diventava un tutt'uno con una testa indescrivibilmente terrorizzante.
Un volto, se così lo si può definire, agghiacciante.
In quella specie di muscoloso e lungo ovoidale e allungato muso, c'era una grande bocca circolare aperta, che evidenziava denti, tutti uguali, appuntiti e ricurvi verso l'interno. Al posto delle narici, subito sopra la bocca due semplici fori coperti da una peluria protettiva, e gli occhi erano due grosse circonferenze completamente nere. Inespressivi. Ma che insinuavano una fottuta paura.
Ai lati di quella strana testa due enormi tagli che si estendevano per tutta la lunghezza di quello strano cranio e proprio dal loro centro usciva una protuberanza corta e che ricordava un tentacolo che avrebbe potuto muoversi alla ricerca precisa di vibrazioni, suoni, rumori, proprio come un piccola antenna semovibile direzionabile.
La cima della testa che ricordava, come forma, una grossa e lunga palla da rugby, era ispessita e rafforzata da uno strato osseo che sembrava molto resistente.
Nessuno aveva il coraggio di parlare. La gola di ognuno di noi era secca, tirata e dannatamente immobilizzata.
I nostri sguardi si scambiavano irrazionali occhiate, espressioni terrorizzate, incredule ma anche curiose.
Luc fu il primo ad interrompere quel pietrificante momento.
E quasi a voler sdrammatizzare la paradossale situazione, in una involontaria e spontanea espressione, disse:
"Ok ragazzi, almeno è morta, una cosa in meno di cui preoccuparsi"...
(Continua...)
[Christian B.]
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